Plasma iperimmune, San Matteo di Pavia
La parola al dottor Cesare Perotti

2021-05-31T15:43:23+02:00 31 Maggio 2021|Attualità|
di Sergio Campofiorito

Anche durante la corsa ai vaccini c’è chi studia per affinare “l’arsenale al plasma” col quale sconfiggere, o aiutare a sconfiggere, il nemico Covid. Perché, come spiega uno dei maggiori “armaioli” italiani su questo fronte, “non si sa mai”.

Cesare Perotti, direttore del Servizio Immunotrasfusionale del Policlinico San Matteo di Pavia, durante il periodo più difficile della pandemia ha seguito molti pazienti in condizioni difficili, salvando molte vite.

La terapia, soprattutto a livello europeo, sta avendo un grande seguito tra gli scienziati e migliaia sono gli articoli pubblicati a riguardo, tra i compiti del professore, insieme ai colleghi, c’è anche quello di verificare questi studi in un’apposita commissione europea.

Professor Perotti, come procedono gli studi sulla terapia del plasma iperimmune?

Vengo proprio adesso da un call europea. Purtroppo in Italia, come sempre in queste vicende, si è divisi come tra guelfi e ghibellini non rispettando quella che è l’osservazione della scienza che non fa presunzioni premature ma osserva, registra e trae le conclusioni. Il punto della situazione è questo, il plasma iperimmune è una buonissima arma contro il Covid-19 nelle nostre mani, deve però avere due regole, il plasma deve essere altamente qualificato, deve quindi contenere elevati anticorpi neutralizzanti ottenuti dal convalescente, e deve essere somministrato per tempo. Qualità e precocità sono le due condizioni affinché la terapia funzioni.

Cesare Perotti, Direttore del Servizio di Immunologia e Medicina Trasfusionale del San Matteo di Pavia – Foto Torres

Qualità del plasma e precocità della cura rappresentano valori assoluti, anche considerando le varianti del virus? 

Ci sono anche altri aspetti da analizzare. Il plasma anzitutto risente anche della “filiera di produzione”. Il plasma può essere raccolto e somministrato in situazioni, nazioni e regioni dove non esistono tecnologie come quelle che abbiamo noi al Policlinico e può perdere quindi efficacia. Inoltre, ho proposto alla commissione europea di cambiare in parte la denominazione, da plasma iperimmune a plasma iperimmune locale proprio per le varianti. Faccio un esempio, se un soggetto si ammala del virus in luogo ed è capace di guarire vuol dire che ha risposto immunologicamente proprio a quel virus e in quella regione, producendo anticorpi efficaci per quel luogo. Non è detto che gli stessi anticorpi, prodotti da un soggetto guarito in Lombardia, abbiano la stessa validità contro una variante esistente in Sud Africa o in Brasile.

Vaccini e terapia del plasma iperimmune possono essere cure complementari?

Noi speriamo che vadano a braccetto, come scienziati dobbiamo però essere uomini prudenti e quindi al Policlinico San Matteo di Pavia una scorta di plasma iperimmune è stato stoccato ed è al sicuro, non si sa mai.

Da parte delle istituzioni avete trovato una sponda sullo studio e l’applicazione delle terapia? 

Personalmente ho trovato una sponda nell’istituzione dove lavoro, che ci tengo a ringraziare, e nell’Europa. E mi fermo qui.