I giovani, colonne del sistema sangue
La Scuola di formazione Avis e Campus

2021-06-01T14:59:11+02:00 31 Maggio 2021|SCUOLA|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Situazioni inattese e tragiche come la pandemia con cui tutti siamo costretti a convivere da orami 15 mesi, ci fanno capire bene quanto sia importante avere, in ogni settore, una classe dirigente formata al più alto livello possibile.

Nell’universo sangue, tutte le associazioni sanno molto bene che per affrontare le sfide del futuro, dunque, la formazione dei giovani è una voce d’investimento decisivo, e così Avis, insieme a Fondazione Campus, ha creato da ormai molte stagioni una scuola molto ambiziosa che sta dando grandi risultati.

Per conoscere più da vicino cos’è il progetto Scuola nazionale di formazione Avis e Fondazione Campusper la cui iscrizione all’edizione 2021 saranno aperte fino all’11 luglio prossimo – abbiamo intervistato Fulvio Calia, Consigliere di gestione della Fondazione Campus e responsabile, per Campus, della Scuola nazionale di formazione AVIS.

Il progetto della Scuola di formazione di Avis e Fondazione Campus giunge ormai alla settima edizione. Qual è il bilancio di questi anni? I giovani usciti da una formazione così attenta stanno dando il loro contributo nel sistema?

È vero, siamo già alla settima edizione! La sesta per la verità è ancora in corso, perché la pandemia ha fatto slittare in avanti le attività e le concluderemo con due moduli in giugno – a Roma – e in luglio, a Milano.

Come Fondazione Campus siamo davvero contenti di questa collaborazione con AVIS e dei risultati della Scuola: quasi 150 partecipanti fra le varie edizioni, oltre 500 domande ricevute nel tempo, un interesse dei ragazzi e dell’associazione ancora forte, esperienze e ricordi che portiamo con gioia con noi.

Ma bando alla nostalgia e pensiamo al futuro. E, per rispondere alla domanda, in effetti sin dall’inizio abbiamo costruito un piccolo database dei partecipanti alle varie edizioni. Lo aggiorniamo regolarmente, chiedendo loro a che punto della carriera associativa siano arrivati. L’analisi dei dati mostra due cose piuttosto confortanti.

La prima è che le ragazze e i ragazzi che hanno frequentato la Scuola nazionale di formazione AVIS e che sono ancora attivi in associazione è molto alto. In altre parole, quasi nessun diplomato della Scuola ha poi lasciato AVIS.

La seconda è che abbiamo assistito a importanti percorsi di carriera in molti dei nostri studenti. Un caso rilevante è quello di Daniele Ferrara: ha partecipato alla Scuola nel 2016 (seconda edizione) da Presidente di AVIS Abruzzo, ora Segretario generale dell’associazione. E potrei citare a decine di esempi!

giovani

Una classe delle edizioni precedenti

Perché è così importante formarsi anche per un’attività apparentemente facile come il volontariato del sangue?

Perché essere volontari non significa essere dilettanti o poter svolgere le attività in AVIS in maniera amatoriale e senza sufficiente professionalità.

Nella Scuola – oltre a offrire strumenti di management, comunicazione, etica del non profit, ecc. – ci soffermiamo molto su un concetto: fare bene il bene.

Svolgere attività in maniera volontaria e senza essere retribuiti, insomma, non è una giustificazione per farlo in maniera distratta o superficiale. Il concetto: “Lo faccio senza essere pagato, non posso farlo bene come se fosse un lavoro” per noi è sbagliato e quasi offensivo di una grande storia italiana come quella di AVIS.

Sono molto convinto nell’esprimere questo concetto, sia perché ne sono persuaso sia perché so che è condiviso dal Presidente di AVIS Gian Pietro Briola e dal Direttore scientifico della Scuola, il professor Corrado Del Bò dell’Università Statale di Milano.

Come avete ovviato ai problemi legati alla pandemia per continuare i corsi?

Nella primavera del 2020 le iscrizioni alla sesta edizione della Scuola si sono concluse regolarmente e siamo stati felici di ricevere, in piena pandemia, tante richieste di partecipazione. In luglio abbiamo fatto la selezione e speravamo di andare in aula regolarmente in autunno. La seconda ondata ha ovviamente modificato i nostri piani.

Inizialmente abbiamo pensato di spostare a inizio 2021 le attività, ma quando abbiamo capito che le restrizioni alla formazione in aula sarebbero durate più del previsto abbiamo riprogettato la didattica per svolgerla online. In gennaio, febbraio e marzo siamo partiti con una serie di webinar ai partecipanti.

Scuola AVIS si basa molto sulla presenza in aula dei partecipanti e delle possibilità di creare community di giovani avisini di talento, ma sono grato ai partecipanti di questa edizione per la loro capacità di essere stati appassionati e interattivi anche da remoto: sono stati proprio bravi.

Finalmente riusciremo però a chiudere tutti insieme questa edizione così straordinaria e dolorosa della Scuola. A giugno ci troveremo a Roma e a luglio a Milano, ovviamente in aule molto grandi e arieggiate per rispettare ogni norma di sicurezza e regola di buon senso.

La pandemia è stato un evento difficilmente prevedibile. Nelle prossime annate del corso una formazione utile anche per arrivare più pronti a eventi del genere sarà possibile?

Questa è una bella domanda e intercetta le discussioni che stiamo svolgendo sulla settima edizione della Scuola, il cui bando è aperto e che si svolgerà nell’autunno di quest’anno.

Come di consueto non ci occuperemo direttamente di questioni sanitarie o mediche. Tuttavia, la pandemia ancora in corso ha modificato in molte maniere il nostro modo di interagire con gli altri. I giovani di AVIS – che sulla relazione con donatori, cittadini e istituzioni fonderanno il proprio lavoro – dovranno farsi trovare pronti a questo cosiddetto new normal.

Non credo che AVIS possa rinunciare al rapporto, quasi fisico, con le migliaia di territori in cui insediata, però le tecnologie che abbiamo imparato a usare in questi 15 mesi potranno fare da moltiplicatore a quelle relazioni e mantenere ancora più vivo e continuo il rapporto con le comunità di riferimento.

La Fondazione Campus a Lucca

Quali sono le sfide e le criticità maggiori che il sistema sangue dovrà affrontare dei prossimi anni? Autosufficienza? Autonomia sul mercato globale del plasma? O altro?

Non sono un esperto, anche se frequento il sistema sangue italiano da qualche anno.

Credo che il Covid-19 abbia reso ancora più evidente la scarsità del plasma che si raccoglie nel mondo per provvedere ai bisogni dei pazienti curati con terapie plasma-derivate.

Un aspetto interessante del 2020 è la caduta della raccolta di plasma nei Paesi che prevedono la remunerazione o una forma di rimborso monetario ai donatori. Dopo anni di crescita ininterrotta e più sostenuta rispetto a quella dei sistemi basati sulla non remunerazione, il sistema americano di raccolta plasma, basato su centri privati e senza la presenza delle associazioni per la donazione, ha ‘battuto in testa’ e ha subito il contraccolpo della pandemia.

I sistemi basati sul dono, innanzitutto l’Italia, si sono invece dimostrati più robusti rispetto a quelli basati sulla remunerazione. Credo che in questo le associazioni per la donazione del sangue abbiano giocato un ruolo fondamentale, dato che da alcuni anni hanno riorientato i propri obiettivi e la propria comunicazione a favore della donazione di plasma.

Nonostante queste buone notizie, l’Europa è ancora troppo dipendente dagli Stati Uniti sul plasma, e i pazienti europei e del resto del mondo devono ringraziare la forza del sistema americano se riescono ad avere accesso a tanti farmaci plasma-derivati, che restano comunque ancora troppo pochi e non sono disponibili per tutti i pazienti in stato di bisogno.

Ecco, forse uno degli obiettivi del piano europeo di ripresa e resilienza dovrebbe puntare sul rafforzamento dei nostri sistema-sangue, affinché continuino a garantire la raccolta delle cosiddette parti labili (globuli rosse e piastrine) aumentando progressivamente le procedure di plasmaferesi e la raccolta complessiva di plasma per la lavorazione industriale.

Il valore della donazione periodica, volontaria, non remunerata e associata è fuori discussione. Durante la pandemia ha dimostrato di essere capace di fare grandi numeri, di essere competitivo rispetto ai sistemi basati anche sull’incentivo economico e capace di portare l’Italia e l’Europa verso l’autosufficienza.

Cosa si sente di dire ai giovani che vogliono intraprendere un percorso attivo nel volontariato?

Una ragazza e un ragazzo che hanno voglia di impegnarsi nel volontariato non hanno bisogno di suggerimenti, tanto meno dei miei.

Sicuramente è una scelta saggia, che coniuga altruismo, solidarietà e – perché no? – possibilità di sviluppo individuale e professionale. Questi anni di collaborazione con AVIS mi hanno mostrato come l’associazione sia un formidabile asset al servizio del sistema-Italia e una rete sociale (o social network…) a disposizione di giovani desiderosi di fare bene il bene e di allargare, allo stesso tempo, il proprio patrimonio di conoscenze e relazioni di qualità.