Perché oggi non c’è allarme sangue? I passi da gigante compiuti dal sistema in un anno di epidemia

2021-04-01T14:58:36+02:00 25 Marzo 2021|Attualità|
sangue di Laura Ghiandoni

Mentre l’epidemia di Covid sta mettendo in luce tutte le carenze della sanità italiana, il mondo del sangue nell’ultimo anno ha affrontato l’epidemia compiendo passi da gigante nel migliorare l’organizzazione di tutta la filiera. Oggi, in tempo di fermo degli interventi chirurgici, sono almeno due le ragioni per cui i pazienti possono essere certi che il sangue a disposizione per le terapie salvavita non mancherà.

La prima, che oggi permette di organizzare nel dettaglio le donazioni, si chiama programmazione. La seconda, è il Patient Blood Management (PBM), il metodo di gestione ottimizzata delle risorse ematiche durante gli interventi chirurgici.

Il caso del sindaco di Uboldo: perché non c’è allarme sangue?

Alcuni giorni fa Luigi Clerici, il sindaco del comune di Uboldo, in provincia di Varese, è intervenuto pubblicamente chiedendo a gran voce “il ripristino della raccolta a pieno ritmo”. All’appello è seguita la risposta dell’azienda sanitaria locale, che ha tranquillizzato Clerici spiegando che non siamo in allarme sangue. L’azienda ha sottolineato che la programmazione permette di organizzare le scorte in base alle unità necessarie e grazie ad un efficiente sistema di compensazione.

Gianpietro Badanai, presidente di Avis Varese provinciale chiarisce la questione andando dritto al sodo: “Non si raccoglie sangue perché non lo si vuole sprecare – e aggiunge – poiché non si svolgono gli interventi chirurgici in cui sono necessarie molte unità di sangue, nella provincia di Varese, e in generale in Lombardia, si dona su programmazione”.

Cosa significhi programmare in dettaglio è sempre lui a spiegarlo: “Quando c’è necessità di sangue si chiamano al telefono i donatori con i gruppi sanguigni che in quel momento sono necessari. È un sistema di rete, per cui se da una parte c’è carenza, siamo organizzati per cui c’è anche modo di compensare. I donatori sono educati a questo metodo, sanno che devono attendere la chiamata, e quando arriverà, sarà importante rispondere per salvare vite”.

E conclude: “In questo periodo chiamiamo di meno perché c’è meno necessità”.

Il Patient Blood Management: perché se ne consuma di meno?

Vanessa Agostini, direttore del Centro regionale sangue della Liguria, oltre che responsabile del trasfusionale dell’ospedale del San Martino di Genova, introduce l’argomento: “Nella fase iniziale dell’epidemia, la possibilità di avere una ridotta riserva di sangue ci aveva fortemente preoccupati. Perciò è stato forte il richiamo ad applicare sempre più il Patient Blood Management”.

“Nel marzo 2020 sia il Centro Nazionale Sangue che l’Organizzazione mondiale della Sanità hanno diffuso un richiamo per un uso strategico della risorsa sangue. Il Cns ha richiamato con una nota tutte le strutture regionali di coordinamento chiedendo di intensificare le strategie di Patient Blood Management, e l’OMS ha inviato delle note protocollo sullo stesso”.

Cos’è il Patient Blood Management?

Agostini ci ricorda in cosa consiste questa strategia: “Il PBM nasce dall’OMS con la risoluzione 63.12 del 21 maggio 2010. La finalità è quella di migliorare l’outcome dei pazienti – cioè il risultato degli interventi chirurgici nel paziente riducendone la mortalità e la morbidità- attraverso un confronto tra più specialisti”. Come? “I medici organizzano un piano per preparare il paziente all’ intervento con il miglior livello possibile di concentrazione dell’emoglobina nel sangue.

Inoltre si lavora sull’ottimizzazione delle perdite ematiche e adottando delle strategie nella fase intra e post-operatoria”. La dottoressa continua: “Dopo la risoluzione dell’Organizzazione mondiale della Sanità si è molto lavorato sul tema del PBM fino ad arrivare al decreto ministeriale del 2015 che lo eleva ad una delle strategie per la sicurezza delle trasfusioni, volta alla prevenzione della trasfusione evitabile”.

Agostini ne spiega l’applicazione: “Si lavora in concerto con gli anestesisti, gli animatori e con i colleghi chirurghi cercando di identificare i pazienti nella fase pre-operatoria. Generalmente si compie la valutazione di un intervento chirurgico programmato 28 giorni prima”.

Nello specifico: “Si cerca di ottimizzare la riserva emoglobinica dei pazienti: si valuta se sono anemici o se hanno problemi di carenza di ferro e si cercano di intercettare eventuali rischi emorragici e rischi di sanguinamento”. È un percorso che segue il paziente da vicino.

Agostini continua: “La seconda fase è ciò che avviene durante l’intervento chirurgico. Il controllo delle perdite ematiche e di gestione della coagulopatia, cioè il sanguinamento, si affronta attraverso i Point of Care, strumenti di monitoraggio con algoritmi che servono all’utilizzo più appropriato del sangue e degli emocomponenti, ma anche dei concentrati specifici dei fattori della coagulazione – e conclude – il terzo pilastro è il post-operatorio. Si cerca di trasfondere il paziente nella maniera più appropriata possibile ovunque sia ricoverato”.

Raccolta e consumo di globuli rossi: cosa dice Fidas Adsp Piemonte

Nell’ultimo anno di epidemia di Covid-19 secondo i dati del Cns c’è stata una riduzione della raccolta sangue complessiva del 4,9 per cento ed anche il consumo di globuli rossi è diminuito del 15 per cento. Sono state più di 138mila le unità di sangue non raccolte. Solo in Piemonte sono mancate in un anno oltre le 17mila unità di sangue.

Giovanni Borsetti, presidente di Fidas Adsp Piemonte commenta così la situazione di oggi:

“La nostra associazione sta proseguendo con la pianificazione che aveva in precedenza, non ci sono arrivate disposizioni dagli enti della banca del sangue di variare. La raccolta prosegue regolarmente e i donatori rispondono positivamente”. Riguardo le campagne di sensibilizzazione “continuano a coinvolgere nuovi donatori anche se – continua Borsetti – oggi non sono in corso campagne di “chiamata alle armi”. Infine conclude: “È necessario ricordare di prenotarsi”.