Perché i vaccinati sono i donatori ideali di plasma: l’uso delle immunoglobuline

2021-04-01T15:50:05+02:00 23 Marzo 2021|Attualità|
vaccini di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

La campagna di vaccinazione in Italia non è partita con l’efficienza e la linearità in cui tutti speravamo, il caso AstraZeneca ha creato ulteriori rallentamenti, ma ora, finalmente, sembra che si possa concretizzare il ritmo preventivato di circa 200mila vaccinazioni al giorno.

Con l’arrivo del vaccino Johnson & Johnson, previsto per metà aprile, dovrebbe poi iniziare una nuova fase, durante la quale l’obiettivo di dosi giornaliere da somministrare crescerà a 500mila, almeno secondo le dichiarazioni del Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, il Generale Francesco Figliuolo.

A oggi i vaccinati in Italia sono circa 8 milioni, di cui circa 2,5 milioni hanno ricevuto entrambe le dosi, mentre 4,5 milioni soltanto la prima: e se la crescita del numero di vaccinati è un fattore fondamentale per arrivare a un indice di letalità del Covid-19 pari allo 0,1%, ovvero quello dell’influenza stagionale che rappresenta la soglia del cessato pericolo, c’è un altro grande vantaggio raggiungibile attraverso la somministrazione, un vantaggio finora trascurato nei discorsi del mainstream.

Di che vantaggio si tratta? È semplice: poter sfruttare il serbatoio di cittadini vaccinati con titolo anticorpale altissimo, milioni di immunizzati che potrebbero donare il plasma necessario a produrre immunoglobuline specifiche, ovvero una delle terapie complementari anti Covid-19 su cui la scienza farmacologica punta maggiormente.

Affinché ciò sia possibile, deve crescere ancora molto il numero dei vaccinati under 70, che a oggi, secondo i dati pubblicati sull’osservatorio de IlSole24Ore “Vaccini in tempo reale”, sono circa 1 milione e 600 mila; inoltre, è del tutto chiaro, affinché i la massa dei vaccinati possa donare plasma in alte percentuali, sarebbe necessaria una campagna d’informazione coordinata e generalizzata su giornali, internet e televisioni, coinvolgendo i principali centri di diffusione delle informazioni.

Una sacca di plasma iperimmune

Al tempo stesso, servirà continuare con ricerche ad hoc, per capire quale può essere e quanto può durare, sui grandi numeri, il titolo anticorpale dei vaccinati.

Alcune ricerche ci sono già state: già lo scorso 28 gennaio, su Repubblica, sono stati resi noti i dati di uno studio compiuto all’ospedale Bambin Gesù di Roma su operatori sanitari vaccinati con Pfizer-BioNtech, secondo cui “il monitoraggio a 21 giorni dalla prima dose ha rilevato una risposta anticorpale positiva nel 99% dei vaccinati esaminati, con la produzione di una quantità di anticorpi specifici (titolo anticorpale) 50 volte superiore alla soglia di negatività. Sette giorni dopo la seconda dose, gli anticorpi sono stati sviluppati dal 100% dei vaccinati finora valutati, con un titolo anticorpale di circa 1.000 volte superiore alla soglia di negatività, indice di elevato tasso di potenziale protezione”.

Risultati pressoché identici ha ottenuto uno studio ancora più recente, i cui dati sono stati pubblicati sempre su Repubblica. Al grande ospedale metropolitano Niguarda di Milano, sono stati ricercati e dosati gli anticorpi IgG diretti contro il recettore RBD della proteina Spike su2.497 vaccinati: di fronte a un prelievo di sangue effettuato dopo 14 giorni dalla seconda somministrazione, la risposta anticorpale riscontrata è stata molto alta: “il 98.4% del totale dei vaccinati ha sviluppato gli anticorpi mostrando titoli elevatissimi, nella maggior parte dei casi persino oltre i limiti misurabili dalle apparecchiature utilizzate”.

Il presidente di Avis Gianpietro Briola

Sul tema delle immunoglobuline provenienti dal plasma iperimmune abbiamo chiamato in causa Gianpietro Briola presidente di Avis nazionale, che ha confermato il valore profondo che la donazione di plasma dei vaccinati può avere per la comunità: “Dal punto di vista tecnico è una soluzione ottimale, i vaccinati maturano gli anticorpi e possono donare plasma iperimmune per creare immunoglobuline, esattamente come avviene per l’epatite b o per il tetano. Bisogna approfondire con studi specifici che sono già in corso”.

Totale quindi l’appoggio di Avis sul piano logistico: “Offriamo massima disponibilità come associazione e con le nostre sedi per mettere a disposizione donatori che vogliano donare plasma iperimmune, perché la disponibilità di anticorpi plasmatici contro il Covid-19 potrebbe rappresentare una delle migliori risposte terapeutiche e profilattiche contro la malattia – ha ribadito Briola – quindi ben venga un’accelerazione su ricerca e produzione”.

Donare plasma con alto titolo anticorpale, aggiungiamo noi, non deve e non può essere considerato solo un semplice gesto di solidarietà. È anche un gesto etico doveroso: in una situazione di emergenza come una pandemia, durante la quale la risposta farmacologica – sebbene ancora frammentaria e disorganizzata – proviene dalla sanità pubblica attraverso soldi pubblici, contribuire con una donazione di plasma è una risposta responsabile e consapevole, un gesto semplice che genera effetti positivi inestimabili per la comunità intera.