Pianeta Sangue, l’impatto pandemico.
Gli esperti ne parlano al Forum Risk

2020-12-16T10:48:08+01:00 15 Dicembre 2020|Attualità|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Nel sistema trasfusionale è tempo di bilanci dopo molti mesi di pandemia, una crisi che come accade di sovente ha offerto occasioni per mettere in discussione organizzazioni e certezze in vista di miglioramenti futuri. Così, nella vetrina prestigiosa del convegno Forum Risk Management – Obiettivo Sanità & Salute, alcuni tra i referenti più autorevoli del sistema sangue italiano hanno potuto raccontare come ha reagito il nostro paese al Covid-19, qual è lo stato dei valori sul plasma iperimmune e cosa bisognerà fare per la questione dell’autosufficienza ematica nazionale. Un vero e proprio antipasto ghiotto in vista del webinar “Noi plasma e voi’” in programma mercoledì 16 dicembre sui canali Web e social di DH24 e organizzato in collaborazione tra Dh24 e Avis.

Il webinar Avis – DH24 del 16 dicembre

Il punto di vista del Cns

Vincenzo De Angelis, direttore del Cns, si è soffermato sulla reazione del sistema italiano, sottolineando in generale ciò che è andato bene e cosa poteva andare meglio: “La raccolta in Italia ha tenuto, non è calata come in altre nazioni. Il nostro modello è risultato vincente sul tema dell’appropriatezza e della capacità professionale. A livello di coordinamento a livello europeo c’è stato un valore aggiunto, basta pensare a Support-E, progetto sul plasma iperimmune che porterà sicuramente dei vantaggi. Sulla disponibilità del plasma l’unione europea si sta concentrando perché il fatto che ci sia una forte dipendenza dal plasma statunitense va sicuramente affrontato. Contiamo di avere risultati a breve sull’efficacia del plasma iperimmune, anche se ci sono ancora discrepanze tra paesi, sia a livello organizzativo che nell’utilizzo. In conclusione la pandemia ha esaltato alcuni aspetti dei nostri sistemi trasfusionali, alcuni punti di forza, ma e ha evidenziato anche dei limiti.

L’Italia più in dettaglio

Quali limiti? Più in dettaglio è sceso Pasquale Colamartino, direttore del Centro regionale sangue Abruzzo, il cui intervento ha messo in luce criticità assodate come la necessità di maggior personale nei centri trasfusionali: “L’impatto della pandemia ha evidenziato criticità vecchie e nuove del nostro sistema trasfusionale, ma ha fatto anche da stimolo per il futuro. Abbiamo la necessità di reingegnerizzare il sistema tenendo quanto di buono abbiamo fatto in questi anni. Uno dei grandi problemi che abbiamo dovuto affrontare è stata la percezione del rischio nell’andare a donare, e da qui la necessità di trovare nuovi metodi di reclutamento con chiamata diretta, grazie alle associazioni. La strategia è stata di investire di più sui donatori periodici, quelli più fidelizzati. In generale la comunicazione sul Covid-19 è stata devastatane, e così quella sul plasma iperimmune, che in tv passa dall’essere un farmaco miracoloso a uno di nessuna utilità. Altro problema è stata la continuità variabilità tra regioni sul piano dei consumi. Ci sono stati interi ospedali interamente trasformati in ospedali Covid con la chiusura dei servizi trasfusionali, e questo ha richiesto in tempi brevi una nuova organizzazione della raccolta. Il sistema dunque è stato messo molto sotto pressione. Sicuramene la pandemia ha avuto un impatto, ma in generale il sistema ha reagito bene grazie a una migliore strutturazione dei servizi di chiamata, che hanno fatto veramente un grande lavoro. Questo aspetto organizzativo è stata una delle prove più difficili, assieme alla messa in sicurezza dei luoghi e del personale, personale che oltretutto era ed è carente”.

Il logo del Forum Risk

Il plasma iperimmune

Sul tema del plasma iperimmune hanno disquisito Angelo Ostuni, presidente SiDem (Società italiana di emaferesi e manipolazione cellulare) e Francesco Menichetti, principal investigator del progetto Tsunami. Ostuni ha introdotto il quadro generale degli approcci sul plasma. “Nelle prime fasi della pandemia i dati sul plasma iperimmuni evidenziati dai colleghi cinesi erano molto positivi, e quindi a favore della terapia. C’erano dei criteri che dovevano essere tenuti in considerazioni, modalità di gestione dei donatori e titolo anticorpale e la necessità di produrre dei trial. Nelle più recenti pubblicazioni vengono ribaditi alcuni concetti, ovvero la correlazione della risposta immunitaria con una teorica persistenza degli anticorpi fino a 5 mesi. Non è chiaro però se questi anticorpi restanti siano in grado di evitare una seconda infezione o solo di attenuarla. Per quanto riguarda lo studio del plasma da convalescente emerge l’importanza del timing della raccolta e la valutazione del titolo anticorpale. Il Cns ha provveduto a emettere una scheda di prodotto dettagliata e precisa sul plasma iperimmune”. Menichetti invece ha spiegato cos’è lo studio Tsunami confrontandolo con gli altri studi mondiali sull’efficacia del plasma iperimmune, rivendicando per lo studio italiano un ruolo decisivo: “Com’è noto ai più il trattamento del Coid-19 deve essere illustrato in due fasi, una prevalentemente virale e una infiammatoria. La prima fase ovviamente deve ricorrere ad attività antivirali: una è il Remdesivir, su cui finora non vi è alcuna evidenza, l’altra è il plasma iperimmune che ha un’azione antivirale, un’azione anti-modulante e potrebbe funzionare anche come antiinfiammatorio. Ci hanno aiutato molto i cinesi, e bisogno tenere molto in considerazione la dinamica anticorpale: per essere bravi ad operare la plasmaferesi entro le 12 settimane dalla guarigione per non intaccare il declino. Lo schema che ha messo in azione il Cns offre le giuste garanzie, con un titolo anticorpale di almeno 1:160. Il plasma iperimmune non è scevro da effetti collaterali. Veniamo però alle evidenze scientifiche, partendo dalle esperienze di Pavia che ha utilizzato il plasma su pazienti già in terapia intensiva e riscontra sui 7 giorni una mortalità del 6,5% rispetto a una mortalità standard del 15%. Lo studio indiano, non ha riscontrato particolari miglioramenti della mortalità ai 28 giorni e usa criteri simili a quelli del nostro Tsunami, ma ha però una criticità importante, l’utilizzo di plasma con titolo anticorpale compreso tra 1:40 e 1:60, mentre secondo noi il titolo minimo iperimmune è 1:160. L’ultimo studio recentemente fatto è stato quello argentino: anche qui nessun miglioramento nella mortalità nel lungo periodo, ma anche questo studio utilizzava un tipo di tracciamento che sovrastima il titolo anticorpale. La parola definitiva arriverà da Tsunami. Infine concludo che la naturale evoluzione del plasma iperimmune è la finalità di produrre immunoglobuline specifiche e anticorpi monoclonali. Tsunami è stata un’occasione unica per la ricerca italiana, per tutti gli attori coinvolti, e aldilà dei risultati che potranno confermare gli studi già fatti o smentirli, è evidente la qualità del nostro lavoro”.

Il ruolo delle industrie

E l’industria farmaceutica come si muove in questo quadro? Lo ha spiegato Oliver Schmitt di Csl Behring, multinazionale che si è attivata per disegnare uno studio che offrisse nuove terapie d’azione contro il Coivd-19 attraverso un sinergia tra industrie farmaceutiche, per mezzo di una filiera che dovrà arrivare a ottenere un unico prodotto rispetto al plasma raccolto in Usa e UE. Un prodotto di riferimento per tutti che abbia superato i test di compatibilità e che consenta un utilizzo veramente globale. Volte a ribadire l’importanza dell’autosufficienza nazionale invece, le parole di Paolo Marcucci presidente di Kedrion Biopharma, azienda italiana invitata nella rete di Csl ma poi rimasta autonoma. “Le nostre aree di intervento – ha spiegato Marcucci – sono emofilia, immunodeficienze e tutti i plasmaderivati. Abbiamo un network di raccolta principalmente basato negli Usa, con una trentina di centri. Diamo lavoro a più di 2500 persone nel mondo di cui la metà in Italia, e la nostra storia ci contraddistingue perché siamo stati per molti anni l’unica azienda a credere nella sfida dell’autosufficienza, sia in chiave imprenditoriale sia perché condividiamo i valori fondanti di una struttura italiana fatta da attori in grado di fra fronte in ogni momento a emergenze o pandemie. Da sempre abbiamo vissuto il nostro ruolo come uno dei partner che contribuiscono al modello italiano, e abbiamo nel tempo un buon rapporto con i donatori e le istituzioni, che poi sono i possessori della materia prima. Senza i donatori non sarebbe stato possibile avere una visione per lo sviluppo di questo settore, cui abbiamo contributo con investimento economico e culturale. In Usa il plasma e i plasma derivati sono nella lista dei prodotti essenziali, perché si sono sentiti scoperti pur avendo una produzione ampiamente sufficiente per il fabbisogno interno. L’Italia raccoglie il 70% del plasma necessario al proprio fabbisogno, per il 30% del resto del mondo, un dato migliore del resto d’Europa che invece ha bisogno del 40% del plasma esterno. Il sistema italiano dunque ha fatto meglio. L’autosufficienza del 100% per non è stata raggiunta non per difetti strutturali, ma perché non ci siamo dati quell’obiettivo. Bisogna dunque aumentare la raccolta in Italia. In Usa si stima un calo del 20% nel 2020 rispetto al 2019, ma con un mercato in crescita del 10% – 15 %. Si parla dunque di circa 12 milioni di litri in meno e almeno 20 tonnellate di immunoglobuline in meno sul mercato, una carenza vera che noi non stiamo affrontando con sufficiente impegno. Anche in Italia non siamo tranquilli: c’è rischio di carenza dei prodotti, un necessario ricorso al mercato commerciale anch’esso in shortage, che comporterà problemi nella disponibilità dei farmaci. Bisogna quindi raccoglie di più con la plasmaferesi, fare delle politiche esplicitamente dirette a intensificare la raccolta contando sul sistema pubblica. Dobbiamo raccogliere in Italia almeno 1 milione e 200 mila litri all’anno, e offrire tutti i farmaci possibili, per evitare sprechi. Lascio ai donatori i temi etici, o il non sapere dove finisce il cryo della regione Veneto. La nostra missione deve essere il paziente, e dunque ottenere maggiore materia prima. L’idea è un modello public – private che abbia caratteristiche no profit, come quello italiano in cui la raccolta non è remunerata, e che è assolutamente esportabile”.

Domani, nel webinar “Noi Plasma, e voi”, ci sarà modo di approfondire ulteriormente questi temi così importanti per la comunità, in un appuntamento da non perdere.