Plasma iperimmune e seconda ondata, la situazione
Ancora troppi dubbi, medici e pazienti in difficoltà

2020-11-26T17:24:56+01:00 13 Novembre 2020|Attualità|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Il servizio a Le Iene

Lo avevamo preannunciato già ieri, offrendo gli ultimissimi numeri divulgati dal Centro nazionale sangue sulla quantità di sacche di plasma iperimmune disponibili per le terapie negli ospedali, ma il servizio andato in onda nel programma di Mediaset Le Iene – per una volta distanziandosi da toni spettacolarizzanti o scandalistici – ha posto dei giusti interrogativi su come istituzioni sanitarie e politiche hanno organizzato l’utilizzo di una risorsa anti Covid-19 molto concreta, ma incredibilmente lasciata nelle retrovie.

In effetti, sin da subito, come il servizio stesso ha ricordato in modo documentato e puntuale, molte voci con credito mediatico infinito e più o meno competenti – da Burioni a Selvaggia Lucarelli – hanno sempre osteggiato l’utilizzo del plasma iperimmune, evocando rischi e costi, inquinando il dibattito con toni da rissa social, impedendo un approccio razionale su un tema così delicato, e finendo, probabilmente, per condizionare anche la posizione delle istituzioni.

Il percorso della terapia

Di contro, come i lettori di Donatorih24 sanno molto bene, alcune regioni tra cui il Veneto e la Lombardia, con esisti diversi avevano già iniziato nei mesi scorsi le operazioni di bancaggio del plasma iperimmune in vista di una possibile seconda ondata, per formare quegli “arsenali al plasma” di cui si è ampiamente discusso nel livestreaming di donatorih24 dello scorso maggio.

Il tempo per organizzarsi, dunque, c’è stato, ed è stato un peccato che il protocollo Tsunami abbia avuto un percorso più difficile del previsto a causa di questioni burocratiche, così come ci ha raccontato qualche tempo fa il principal investigator Francesco Menichetti, perché se tutto fosse andato liscio probabilmente oggi la situazione del plasma iperimmune sarebbe molto più definita.

I momenti di confusione non sono mancati, sempre per colpa dei media: da sempre si sa che è necessario un titolo anticorpale piuttosto alto affinché il plasma sia efficace, 1 in 1:160, ovvero una situazione in cui una goccia di plasma sia in grado di salvaguardare almeno 160 cellule, mentre gli studi randomizzati indiani fortemente pubblicizzati sui media utilizzavano un titolo molto più basso. Resta da chiedersi se e quante delle sacche annunciate disponibili dal Centro nazionale sangue nella comunicazione ufficiale (l’ultima proprio ieri) abbiano il titolo anticorpale adeguato e quante no.

Noi lo abbiamo chiesto al Cns, che per or si è riservato di non rispondere. Ci ha risposto invece il dottor Massimo Franchini, direttore del servizio trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, che da molti mesi porta avanti i risultati che il suo ospedale e quello di Pavia hanno ottenuto con l’utilizzo di questa terapia. Ecco cosa ci ha detto sulla situazione attuale.

Le parole del dottor Franchini

Dottor Franchini come spiega la questione del titolo anticorpale sulle sacche di plasma iperimmune comunicate dal Cns?

Io ho dato i dati al mio Centro regionale sangue, e noi abbiamo 180 sacche di plasma iperimmune cui 4 con titoli idonei, e questo mi fa pensare che sulle migliaia indicate dal Cns ci possa essere questa proporzione. Pazienti e medici mi chiedono il sangue e plasma iperimmune in giro non c’è. Da stamattina che faccio telefonate in tutta Italia e ma di plasma iperimmune non se ne trova.

Il dottor Massimo Franchini

Come mai secondo lei l’uso del plasma è osteggiato nel discorso mediatico

Gli infettivologi preferiscono utilizzare i farmaci, che si ordinano si pagano tanto e si usano. Ora siamo a novembre e nessun farmaco sintetico è stato studiato direttamente per il Covid, sono farmaci destinati ad altri trattamenti, farmaci antivirali che hanno funzionato in altri casi, per esempio con l’ebola, ma non era detto funzionassero qui. Tutti ora, tardivamente, stanno dicendo proviamo a utilizzare il plasma iperimmune, che ha gli anticorpi esatti per il Covid-19. Ma come dicevo di plasma non c’è. Ora Tsunami sta decollando, per fortuna, ma siamo a ottobre e ci troviamo praticamente nella stessa situazione di marzo. Non c’è stata organizzazione. Non è normale che la provincia di Mantova, che ha una popolazione molto bassa, arruoli più del 50% dei donatori di plasma iperimmune della Lombardia.

Ecco, parliamo della situazione in Lombardia, stanno arrivando nuovi donatori?

Sono stato la telefono fino a poco fa con Varese o con il San Raffaele, ma nessuno sa bene come chiedere il plasma, ma non si sa niente, né come raccoglierlo né come utilizzarlo. Ci tengo a dire che Franchini non è il messaggero del plasma iperimmune, io rispondo per il mio ospedale perché il plasma funziona e me lo chiedono. Su questa pandemia siamo tutti ignoranti, tutti gli studi sono deficitari, ci sono troppe variabili quando si fanno studi randomizzati in piena emergenza. Bisogna fondarsi sui dati clinici del proprio ospedale, non su protocolli che arrivano da lontano o studi che arrivano dalla Nuova Zelanda, perché bisogna far prevalere il pian clinico e capire cosa realmente funzione e cosa no, ma nel proprio ospedale, nella propria realtà. Il plasma non è un farmaco, non è prodotto standardizzato. Ci sono 70 studi randomizzati nel mondo ma non è possibile avere certezze, è anche uscito un’editoriale che lo spiega benissimo su ScienceDirect (che si può leggere qui, n.d.r.) a cura di Manuel Rojas. Purtroppo solo il vaccino ci salverà da questo virus, e ci servirà molto tempo prima che arrivi a essere distribuito a tutte le fasce della popolazione.