Lotta al Covid: continua la sperimentazione con il plasma iperimmune, nonostante i rallentamenti

2020-10-29T18:03:09+01:00 27 Ottobre 2020|Primo Piano|
Covid-19 di Laura Ghiandoni

In tante regioni italiane continua l’impegno nella messa a punto di una terapia che risponda in prima battuta all’emergenza dei pazienti affetti da Covid. In questi giorni in cui il virus torna ad essere percepito come una minaccia concreta, è bene sapere quali armi sono in preparazione per combatterlo e come vengono utilizzate.

A questo scopo continua la sperimentazione Tsunami, impegnata a dimostrare la validità della terapia che utilizza gli anticorpi presenti nel plasma iperimmune dei pazienti convalescenti dopo che, nel mese di maggio, è stata approvata dall’Azienda Italiana del farmaco e dall’Istituto superiore di sanità su tutto il territorio italiano.

DonatoriH24 ha seguito sin da subito la sperimentazione avviata inizialmente a Pavia, intervistando gli esperti e ideatori della cura anche durante l’ultimo meeting online intitolato Covid d’autunno. Ecco, a oggi, tutte le novità.

Il protocollo Tsunami e la selezione dei donatori di plasma iperimmune in Campania

Non tutti i guariti possono donare plasma iperimmune. Il procedimento per la selezione dei donatori è un filtro efficace per chi potrà partecipare al progetto Tsunami e chi comunque potrà donare plasma per altre terapie. Il dottor Bruno Zuccarelli, direttore del centro trasfusionale dell’Azienda ospedaliera specialistica dei Colli di Napoli, spiega come viene effettuata la selezione dei convalescenti.

“Secondo la meticolosa procedura del protocollo Tsunami le donne che hanno avuto una gravidanza non possono donare, e non possono farlo nemmeno coloro che abbiano compiuto oltre 65 anni d’età, i donatori devono essere in salute, cioè risultare negativi a varie patologie tra cui l’epatite A ed E. Il donatore, se è positivo al test sierologico, deve essere sottoposto a doppio tampone”. A proposito della consistente scrematura dei candidati aggiunge: “Su 10 donatori che si presentano a Napoli circa 2 o 3 riescono a donare il plasma iperimmune”.

Perugia e l’Umbria: i numeri della raccolta e la sicurezza della materia prima

A Perugia la selezione dei convalescenti ha rappresentato per il centro trasfusionale locale un impegno consistente. Ce lo racconta Mauro Marchesi, direttore del centro trasfusionale: “Ci siamo organizzati per la raccolta plasma con un annuncio diffuso tramite la regione. In seguito abbiamo visitato circa 200 persone di cui più o meno 40 sono risultate idonee. Da queste donazioni abbiamo raccolto circa 130 unità di plasma iperimmune.

Ora stiamo partecipando a Tsunami e abbiamo randomizzato 5 persone”. E aggiunge: “Le associazioni di donatori di sangue ci hanno aiutato nella ricerca dei donatori”. Ultima nota dolente è per la gravità dell’impegno: “Il tutto è avvenuto con le stesse risorse economiche e senza un aumento del personale. Non sono andato in vacanza quest’estate”.

Riguardo ad uno dei più importanti test che garantiscono la sicurezza della materia prima, dice: “Il test di inattivazione virale è stato compiuto a Perugia con un’attrezzatura fornita dall’azienda farmaceutica Kedrion. Il prodotto non viene ceduto alla casa farmaceutica ma utilizzato per la sperimentazione Tsunami. Raramente per uso compassionevole”.

L’esempio veneto e la moltitudine dei test sul plasma iperimmune

Per essere considerato tale, il plasma iperimmune deve essere sottoposto a test di vario tipo che ne garantiscano la sicurezza, ma anche l’efficacia. Introduce l’argomento la ricercatrice Monia Pacenti, del reparto di Microbiologia dell’azienda ospedaliera di Padova.

La dottoressa è intervenuta durante il recente convegno del Simti quando è emerso l’ottimo lavoro compiuto in Veneto nel bancaggio del plasma iperimmune e nel coordinamento regionale del progetto.

A DonatoriH24.it ha spiegato: “I centri sono partiti senza linee guida uniformi e per questo tipo di sperimentazione ogni realtà ha cercato di definire quali fossero i test da effettuare sul plasma iperimmune, per renderlo efficace e sicuro. Non tutti i centri inizialmente hanno scelto lo stesso tipo di test e solo in seguito è emersa una discrepanza tra gli esami che sono rivelati utili, e quelli che si sono rivelati inutili”.

Infine, ecco le sue parole che mostrano il perché di certi rallentamenti, legati alla necessità di rispettare alcuni standard piuttosto rigidi: “Per esempio, ha dimostrato di essere fondamentale il test che misura il titolo anticorpale per il donatore, ma poi è emerso che non tutti gli ospedali potevano effettuare il test, che doveva essere gestito solo da alcuni laboratori di sicurezza di livello 3, con medici in possesso di know how specifici per protocolli da realizzare in-house”.