La cura con il plasma iperimmune funziona?
Ecco le variabili che rallentano la sperimentazione

2020-10-15T15:12:52+02:00 10 Ottobre 2020|Attualità|
cura sperimentale di Laura Ghiandoni

Trovare una cura che intervenga a livello emergenziale nella infezione da Covid-19 è la sfida che stanno affrontando moltissimi medici e ricercatori di tutto il mondo. Già da marzo, nel momento di picco epidemico italiano, DonatoriH24 ha seguito il percorso di sperimentazione della terapia con il plasma iperimmune che a Pavia ha dato ottimi risultati grazie al protocollo del dottor Perotti.

A maggio il protocollo della sperimentazione ampliata e randomizzata su tutto il territorio nazionale, il progetto Tsunami, è stato autorizzato dall’Aifa e dall’Iss, ma ancora, dopo quasi cinque mesi, la promessa di sperimentare la cura non è stata rispettata e sono pochi gli ospedali in Italia ad aver aderito.

Il direttore del servizio trasfusionale di Padova, Giustina De Silvestro, che si occupa anche del progetto per la realizzazione della prima “banca del plasma iperimmune” realizzata nella regione Veneto, spiega se la terapia funziona e perché non può dirsi ancora conclusa la sperimentazione che ne certificherebbe l’efficacia.

La terapia che utilizza il plasma da convalescente funziona contro il Covid?

Ci sono alcune variabili da cui dipende il funzionamento della cura. Secondo la nostra esperienza il plasma iperimmune diviene più efficace se viene somministrato in fase precoce quando il paziente non ha ancora sviluppato gli anticorpi contro il Covid-19. Oggi curiamo con la terapia i pazienti ricoverati in ospedale quando il paziente dimostra di avere una iniziale compromissione polmonare.

La terapia quando utilizzata correttamente può funzionare.

Il plasma iperimmune del convalescente disposto a donarlo è sempre idoneo per essere usato nella terapia?

No. Un’altra variabile è il titolo anticorpale del plasma iperimmune. Tra i pazienti guariti che diventano donatori, secondo la nostra esperienza quelli con pochi sintomi o nessun sintomo non hanno sviluppato una quantità sufficiente di anticorpi. La quantità di titolo anticorpale è stata stabilita nel protocollo Tsunami con la soglia minima di 1:160, per avere una probabilità di efficacia nella lotta al virus.

In Veneto, la soglia minima della presenza di titolo anticorpale è stata rispettata sempre durante la raccolta di plasma iperimmune?

Tutto il plasma è stato testato per la ricerca di anticorpi neutralizzanti che sono gli anticorpi efficaci; alcune unità che non raggiungevano la soglia minima per la terapia sono state separate dalle altre, e saranno utilizzate per altro scopo. Ai pazienti è stata sempre somministrata una quantità sufficiente di anticorpi.

La sperimentazione Tsunami è stata autorizzata a maggio. Perché procede così a rilento?

Ci sono due limiti. Il primo è la difficoltà burocratica, sperimentata anche da noi. Infatti il protocollo prevede il coinvolgimento dei medici clinici e, tra le altre cose, ci sono passaggi documentali che richiedono tempo. Tutto questo ha causato il rallentamento dei lavori.

Qual è il secondo limite che non ha permesso finora il completamento della sperimentazione?

Per poter accedere al protocollo Tsunami bisogna disporre di un particolare test che verifica la titolazione degli anticorpi neutralizzanti, ma i laboratori idonei per eseguire quel tipo di test sono pochi in Italia. Questo ha costituito un imbuto per poter avere del plasma utilizzabile per scopo clinico.

Perché l’accademia scientifica si è dimostrata combattuta nell’accettare questo tipo di terapia?

L’accademia scientifica ha accolto la notizia della cura al Covid-19 con il plasma da convalescente con lo stesso scetticismo di quando si parla di cure antiquate. Il plasma iperimmune è stato utilizzato in alcuni casi di epidemia, come durante la spagnola o la Sars o l’ebola. E’ da considerarsi una terapia di transizione, non è un farmaco specifico per il Covid-19, né previene un’epidemia.

In questo rallentamento secondo lei hanno avuto qualche ruolo le case farmaceutiche di settore?

A me non risulta. Le case farmaceutiche producono i plasmaderivati utilizzati ogni giorno negli ospedali, collaboriamo con loro quotidianamente da anni.

In Veneto la banca del plasma è stata realizzata per prima in Italia. Come siete riusciti a coordinarvi sul territorio regionale?

Nel Veneto abbiamo avuto il merito di lavorare tutti assieme. Abbiamo coinvolto sia il Coordinamento regionale delle strutture trasfusionali, ma anche proprio i singoli responsabili dei diversi dipartimenti. Tutti erano informati. Abbiamo avviato la raccolta. Dopo i primi risultati incoraggianti avevamo anche disponibili i donatori pronti a donare, abbiamo fatto un po’ di scorta per il rischio di ritorno dell’epidemia. Padova ha avuto un ruolo centrale nella realizzazione della banca del plasma perché il laboratorio che effettua il test sugli anticorpi è proprio nella nostra città.

Quanto tempo è necessario per rendere una terapia ufficiale in Italia?

Dipende dalla cura. Per il Covid-19 c’è stata un’accelerazione enorme per quel che riguarda tutto il processo di ricerca e sperimentazione sia delle cure, sia dei vaccini.