La raccolta di plasma iperimmune è stato un impegno improrogabile per molti trasfusionisti che questa estate hanno combattuto in prima linea nella lotta al Covid. Forse, proprio per questo, il “1° Convegno virtuale in medicina trasfusionale” organizzato dalla Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia (Simti), è iniziato affrontando la questione di petto.
La prima sessione ha svelato i retroscena del successo della banca del plasma in Veneto, ma anche spiegato come è diventata realtà quella che durante l’incontro di DonatoriH24 prima dell’estate è stata definita la corsa agli “arsenali al plasma”, cioè il bancaggio, da parte delle regioni, di una quantità sufficiente di plasma ricco di anticorpi per curare i pazienti più gravi nel caso di un ritorno di Covid-19, mentre il mondo si impegna nella ricerca di un vaccino.
Dopo i saluti iniziali di Pierluigi Berti, presidente dell’istituto, sono intervenute Paola Manzini, responsabile scientifica del Simti e Giustina De Silvestro, direttore del Servizio Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera di Padova, per offrire una panoramica completa ma dettagliata dell’esperienza positiva avvenuta in Veneto. Sono stati indicati i numeri della raccolta plasma: secondo i dati, sono 1813 le frazioni terapeutiche stoccate e validate nella regione, di cui il 38.9 per cento di gruppo sanguigno 0, il 47,2 per cento di gruppo A, il 9,5 per cento di gruppo B, e il 4,5 di gruppo AB.
Negli interventi delle due specialiste sono stati inoltre indicati vari studi sperimentali sull’efficacia della terapia con il plasma iperimmune realizzati in Italia e all’estero, mettendoli a confronto per verificarne i risultati. Sul tema della creazione della banca del plasma anti-Covid è emersa la centralità del coordinamento delle aziende sanitarie regionali, dimostratosi cruciali nella gestione anche dei test per la sicurezza del plasma.
Nella regione Veneto, come spiegato dalle relatrici, i test per rendere sicuro l’emocomponente sarebbero stati centralizzati in base alla strumentazione disponibile, nelle varie aziende sanitarie locali. Sempre di test diagnostici sul plasma iperimmune ha discusso nel suo intervento Monia Pacenti, ricercatrice dell’Azienda ospedaliera di Padova, la quale ha confrontato le varie tipologie di test, i risultati e la fattibilità delle stesse.
Alle ore 16.30 il convegno è ripreso sull’onda dell’affermazione/domanda “Dove va il sangue: il progetto Simti”.
I relatori Pasquale Colamartino, direttore del servizio trasfusionale territoriale dell’Ospedale San Pio di Vasto, Luca Mascaretti, responsabile del dipartimento di medicina trasfusionale di Trieste e Giuseppina Facco, dirigente medico della Città della Salute e della Scienza di Torino, hanno introdotto l’argomento approfondendo i dati rilevati a livello nazionale.
Secondo le slide esposte da quest’ultima relative al primo studio nazionale sull’uso clinico del sangue compiuto nel 2020, la popolazione che riceve il sangue è prevalentemente anziana e oltre il 65 per cento delle trasfusioni avviene su indicazione medica e non chirurgica.
Secondo le stime la patologia che più frequentemente richiede trasfusioni è l’anemia acquisita non oncologica.
La dottoressa ha indicato inoltre che il 32,3 per cento delle unità di sangue viene utilizzato su indicazioni chirurgiche prevalentemente per la chirurgia ortopedica e traumatologica.