Settembre è il mese della consapevolezza sul linfoma
Donare sangue per sostenere le terapie dei pazienti

2020-10-01T15:30:16+02:00 16 Settembre 2020|Attualità|
previsioni di Laura Ghiandoni

Migliorano ogni giorno le possibilità di guarigione dei pazienti affetti da linfoma e mentre il numero delle persone colpite da questo tipo di tumore aumenta, la ricerca scientifica offre nuove possibilità di cura grazie alle ultime innovative tecniche sperimentali applicate in molti centri del nostro Paese.

Nel mese di settembre, dedicato alla consapevolezza del linfoma, per parlare di questa patologia e delle trasfusioni di sangue necessarie per sostenerne le terapie, abbiamo dato la parola alla Fondazione italiana linfomi, presente con 152 centri di ricerca in tutto il Paese. A margine del webinar sul tema organizzato per la Giornata della consapevolezza sul linfoma, il 15 settembre, hanno spiegato l’importanza di questo tema il presidente della Fondazione Francesco Merli, e il vicepresidente Andrés José Marìa Ferreri.

La consapevolezza sul linfoma: cosa è necessario sapere

Andrés José Marìa Ferreri è direttore dell’unità linfomi presso l’ospedale San Raffaele di Milano, e ci ha spiegato cosa è necessario far sapere ai cittadini sulla forma tumorale. “Per il cittadino è utile una maggiore conoscenza dei linfomi perché non sempre attraverso i mass media si riceve abbastanza informazione. Bisogna sapere che i linfomi sono un gruppo eterogeneo di tumori che oggi hanno trattamenti molto diversi ed efficaci e i pazienti possono essere guariti.

E’ necessario, nel caso un paziente riscontri su di sé la crescita di linfonodi, cercare una diagnosi precoce, sottoporsi a check-up e analisi del sangue e avvertire il proprio medico. Il paziente deve sapere che la malattia necessita di conoscenze e di una strategia moderna di altissima complessità, quindi dovrebbe rivolgersi ad un grandissimo centro di riferimento per ricevere le cure più moderne. La giornata della consapevolezza vuole essere un richiamo ai nostri colleghi che non sono tutti perfettamente aggiornati sull’iter diagnostico, prognostico, e terapeutico dei pazienti”.

Le possibilità di guarigione dal linfoma

“I linfomi sono tante malattie che vanno dalle forme indolenti a quelle molto aggressive” ha spiegato invece Francesco Merli, direttore di Ematologia dell’ospedale Santa Maria Nuova dell’Ausl IRCCS di Reggio Emilia: “Esistono due macrogruppi che raccolgono molti tipi di linfoma: Hodgkin e Non-Hodgkin. La percentuale di guarigione del linfoma di Hodgkin è stimabile intorno al 75/80 per cento e colpisce una popolazione giovane tra i 20 e i 30 anni. Il linfoma non Hodgkin colpisce persone dai 60 anni in su, e la percentuale di guarigione è del 65 per cento. Ottime possibilità”.

La trasfusione di sangue e la cura ai pazienti affetti da linfoma

Il dottor Ferreri ha poi indicato nello specifico quali sono i tre momenti in cui il paziente affetto da linfoma potrebbe necessitare di trasfusioni di sangue, e dunque, in quale momento il supporto di un’ampia rete di associazioni di donatori viene a sostenere questo genere di terapia.
“Il primo momento chiave – spiega – è quando la trasfusione diventa la terapia salvavita, cioè quando la crescita del linfoma determina una distruzione dei tessuti e ne risulta come complicanza il sanguinamento o l’insufficienza del midollo osseo.

In questo caso la trasfusione non può essere sostituita da alcuna terapia che non sia trasfusionale. I globuli rossi infusi consentono di restituire velocemente l’equilibrio determinato dal volume sanguigno e la costituzione delle cellule del sangue.

La trasfusione in questo caso va abbinata ad una azione risolutiva spesso chirurgica. Nel caso di insufficienza del midollo osseo, le trasfusioni devono essere abbinate alla chemioterapia o all’immunoterapia.

Il secondo momento è il supporto alle terapie per la cura dei linfomi. I trattamenti moderni sono spesso intensi, invece le cellule del sangue sono maggiormente sensibili alle chemioterapie e altri farmaci moderni. Questo determina la necessità di trasfondere le emazie, o piastrine. Dopo i trapianti di cellule staminali c’è una fase in cui le conte del sangue periferico vengono azzerate, e finché il nuovo midollo osseo non sarà performante è necessario supportare il paziente con delle trasfusioni”.
Ma non è tutto.
“Le trasfusioni – continua Ferreri – in un terzo caso ci consentono di far fronte come misura di supporto alle fasi di aplasia, cioè alla mancata produzione da parte del midollo osseo delle cellule progenitrici degli elementi circolanti nel sangue come i globuli rossi, i globuli bianchi e le piastrine, e servono quando i pazienti sviluppano un danno del midollo osseo chiamato mielodisplasia. Nel caso non sia possibile sostituire il midollo osseo vengono utilizzate le misure di supporto trasfusionali che consentono ai pazienti di proseguire il loro percorso di vita”.

Il sangue: dal centro trasfusionale al paziente nel reparto

Il dottor Merli spiega infine le dinamiche che portano il sangue fino al paziente: “Il centro trasfusionale o l’associazione di donatori di sangue raccoglie l’emocomponente. Dall’altra parte il medico del reparto oncologico manda una richiesta del gruppo sanguigno al trasfusionale, indicando le caratteristiche di urgenza del paziente, infatti alcune sono trasfusioni urgenti altre programmabili. Il tutto è mediato dal centro trasfusionale che è la nostra controparte relativamente al tema delle trasfusioni”.