Taimoor, il bimbo emofilico afgano e il ponte di solidarietà con l’Italia

2020-08-17T10:07:17+02:00 14 Agosto 2020|Mondo|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Niente più delle testimonianze riesce a far capire perfettamente il legame profondo che esiste tra donatore e paziente, specie quando si tratta del fil rouge generato dal dono del sangue e del plasma: ecco perché su DonatoriH24 lo spazio dedicato alle esperienze dei medici, dei donatori e dei pazienti è sempre molto ampio.

Quando poi le testimonianze mostrano come la solidarietà sia in grado di superare i confini nazionali per creare occasioni e progetti di lunga durata in paesi lontani, assumono ancora più valore.

Nel podcast che segue, Patrizia Collavo De Mas, farmacista di Trieste, e Arif Oryakhail, consulente tecnico per la salute pubblica dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione e lo Sviluppo del ministero degli Esteri, raccontano quanto sia fondamentale l’ormai collaudata collaborazione tra Italia e Afghanistan sul piano della lotta all’emofilia.

Una storia che comincia nel 2005 in Olanda, quando una donna afghana entra nella farmacia di cui allora era titolare la dottoressa De Mas, e che poi negli anni grazie all’impegno e alla solidarietà è diventata una vera e propria storia di collaborazione tra paesi lontani, basata sul dono di plasmaderivati come il fattore VIII e il fattore IX, farmaci salvavita che in Afghanistan sono totalmente assenti.

Un progetto umanitario di ampio respiro, che ha consentito la nascita del primo centro emofilia a Kabul nel 2009 e che, in questi anni, ha aumentato la conoscenza e la consapevolezza di questa patologia investendo sulla formazione del personale medico grazie al coinvolgimento delle istituzioni italiane e al supporto di aziende farmaceutiche specializzate nella plasmalavorazione, come l’italiana Kedrion Biopharma.

Un impegno che oggi, in un paese segnato dalla guerra e da gravi difficoltà e carenze a livello di organizzazione del sistema sanitario, permette ai piccoli pazienti afghani affetti da Emofilia di avere accesso alle cure di cui hanno bisogno, garantendo loro la possibilità di un’esistenza migliore.