Nella mattinata di mercoledì 24 giugno si è svolta in videoconferenza la Commissione Affari Sociali, con le audizioni sulla sperimentazione in atto per il trattamento dei pazienti affetti da Covid-19 con il plasma iperimmune. Protagonisti, il professor De Donno, direttore della Pneumologia e dell’Unità di Terapia intensiva respiratoria dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova, notoriamente uno dei volti più conosciuti e tra i primi sperimentatori della cura al plasma grazie al protocollo di Mantova e Pavia, e Gianpietro Briola, presidente dell’Associazione volontari italiani del sangue (Avis) e portavoce Civis.
L’intervento di De Donno
Il professor De Donno, il primo a esprimersi, ha ricapitolato passaggio dopo passaggio quello che è accaduto dall’inizio della pandemia fino a oggi, restando prettamente sull’esperienza vissuta in prima persona. “Mantova insieme a Pavia ha attuato questo protocollo che ha utilizzato il plasma da pazienti guariti per pazienti affetti da gravi infezioni da Covid-19. Quello che abbiamo osservato sono alcuni punti fondamentali: in circa il 90% si è ottenuta la negatività sul tampone, una significativa riduzione della mortalità e dei tempi ricovero.
Questi dati sono già stati confermati dai colleghi cinesi. Ieri è uscito un studio preliminare effettuato su 25 mila pazienti, che inizia a confermare quello che noi diciamo da tempo. Pochissimi eventi avversi, e quasi mai effetti collaterali se si esclude un orticaria, quindi il plasma si è dimostrato sicuro. Di questo vanno ringraziati i donatori. Questo tipo di protocollo è stato il traino per moltissimi altri studi nel mondo. In questo momento, in attesa di Tsunami, abbiamo lavorato con un protocollo ponte in Lombardia, e in queste ultime settimane abbiamo ceduto decine di sacche di plasma in Lombardia e in Emilia Romagna. Il nostro è un protocollo nato in guerra su un numero piccolo di pazienti, cinquanta, ma il è stato il primo protocollo del mondo occidentale. Attualmente si sta verificando quello che avevo già detto in passato: Tsunami non riesce a partire per mancanza di casistiche, i protocolli come il nostro sono situazioni di guerra, la durata di onde di pandemia non sono preventivabili, e oggi il virus si è ritirato. Il protocollo Tsunami sarà superato da protocolli americani. Noi abbiamo deciso di tenere le nostre sacche dei pazienti convalescenti, circa 300, in caso di bisogno in autunno per una recrudescenza del virus.”
Le parole di Briola
Più tecnico e strutturato l’intervento di Gianpietro Briola, che ha affrontato le tematiche riguardanti la raccolta e l’’organizzazione dei centri trasfusionali per i donatori, richiamando all’ordine la commissione su alcune necessità inderogabili del sistema trasfusionale, tra bilancio presente e organizzazione del futuro più immediato. “Avis nazionale – ha detto Briola – contribuisce per l’80% alla raccolta sangue. Ho vissuto direttamente il dramma della pandemia sul territorio. Siamo in grado di fare una trasfusione ogni 10 secondi e i dai del Centro nazionale sangue il trend dei donatori è in aumento”.
Passato, presente e futuro
L’ampiezza dell’intervento di Briola ha riguardato i tre momenti della reazione del sistema sangue al Covid- 19. La prima fase, quella della reazione alla situazione di crisi ha comportato due processi principali. “Programmazione e riorganizzazione sono diventate le due parole d’ordine nel corso di una pandemia in cui è stato necessario programmare le donazioni per evitare assembramenti nei centri trasfusionali e garantire sicurezza al personale sanitario e ai donatori stessi. AVIS si è mossa in due fasi: la prima in cui abbiamo rassicurato i donatori dal procedere alla donazione senza rischi di contagio, promuovendo la chiamata diretta a fronte di una flessione sulla disponibilità di sangue; la seconda in cui abbiamo dovuto riorganizzare le procedure di accesso alle unità di raccolta associativi e nei centri trasfusionali, con la prenotazione obbligatoria e la realizzazione di percorsi separati per evitare situazioni di contagio”.
Passato il momento apicale della pandemia, il presente, per i donatori, è il tempo del monitoraggio delle attuali sperimentazioni. “AVIS sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione della sperimentazione sul plasma iperimmune, la quale sta restituendo dei dati confortanti e che speriamo potrà aiutarci ad avviare la produzione su larga scala di immunoglobuline per la cura e la profilassi dell’infezione da Coronavirus. Questa terapia è una pratica nota da oltre cent’anni usata recentemente anche per altre infezioni emergenti ma siamo consapevoli della difficoltà a causa dei criteri selettivi dei donatori e in quanto non tutti i convalescenti hanno un titolo adeguato di anticorpi neutralizzanti per essere arruolati. Inoltre a non tutti i pazienti è consigliato il plasma per le possibili implicazioni cliniche. A inizio pandemia è stata marginale la quantità di soggetti, già precedentemente donatori, selezionata per donare il plasma iperimmune, mentre oggi la percentuale di coloro che potrebbero essere arruolati sembrerebbe più consistente. Sulla base di una previsione del CNS, sarebbero infatti circa 5200 i donatori positivi da Covid-19 a livello nazionale che potrebbero recarsi nei centri trasfusionali e nelle sedi di raccolta associative per donare il plasma iperimmune.”.
E per il futuro? Briola, in rappresentanza di tutti i donatori italiani, ha chiamato in causa alcune necessità stringenti del sistema trasfusionale, soprattutto sul piano delle risorse e dell’impegno collettivo. “In vista di una possibile recrudescenza della malattia nel prossimo autunno, sarà dunque importante continuare a raccogliere il plasma dei pazienti guariti nelle regioni più colpite dalla pandemia e conservarlo nelle cosiddette banche in modo da poterlo utilizzare previa sua lavorazione per l’inattivazione. Il plasma può essere così conservato per due anni ma dobbiamo programmare in fretta perché il titolo anticorpale dei donatori è dimostrabile si riduce rapidamente dopo il tempo di contatto e di malattia. Questa fase però non deve interrompere la ricerca per far sì che dal plasma venga estratto tutto ciò che è necessario per curare le persone con una terapia ancora più mirata e definitiva. La sfida sarà dunque quella di individuare una terapia fruibile da tutti. Ecco perché credo fortemente che l’obiettivo finale di questa fase sarà l’individuazione, nel plasma dei soggetti convalescenti, delle immunoglobuline o delle proteine infiammatorie in grado di aggredire e sconfiggere il virus. Tali immunoglobuline saranno somministrabili in forma farmaceutica e standardizzabile, sia come terapia che come profilassi nei pazienti immunodepressi. Per raggiungere tali obbiettivi, valutati nel breve, medio e lungo periodo, con diverse strategie e programmazione sarà necessario implementare le risorse e le disponibilità strutturali, organizzative e di personale del Sistema trasfusionale nazionale. Una proposta che impegna concretamente Regioni e Province autonome a prevedere una serie di azioni volte ad incrementare la chiamata dei donatori, a stabilire la gestione programmata degli accessi ai centri di raccolta, l’ampliamento delle fasce orarie e delle giornate dedicate alla raccolta, al trasporto e alla lavorazione del sangue e degli emocomponenti. Per le motivazioni menzionate in premessa, auspichiamo che tale proposta venga attentamente valutata al fine di rafforzare il nostro sistema trasfusionale e garantire sempre di più l’autosufficienza”.
Un tema quello delle risorse necessarie, che Briola ha trattato con decisione, dopo aver ribadito con forza la peculiarità e la forza etica del sistema trasfusionale italiano – di cui bisogna preservare l’importanza strategica – e l’efficacia del conto terzi per ciò che riguarda la plasmalavorazione, un sistema che garantisce il plasma come bene pubblico dalla raccolta fino alla ridistribuzione dei plasmaderivati alle aziende sanitarie.
L’esclusiva di Briola per Donatorih24
Chiara, per Briola, la necessità di investimenti. Un tema che il portavoce Civis che ha ribadito in esclusiva per Donatorih24 pochi minuti dopo l’intervento in Commissione: “La cosa più importante in questo momento è senza dubbio la riorganizzazione dei servizi trasfusionali attraverso un riconoscimento economico al sistema. Se veramente si vuole migliorare la raccolta è necessario aumentare il personale di raccolta e ampliare gli orari d’acceso ai centri trasfusionali. Inoltre bisogna consentire una sempre migliore organizzazione di tutto il sistema, che è molto importante per evitare sprechi sul plasma dei donatori. Un riconoscimento organizzativo delle risorse sarà il tema fondamentale per i prossimi mesi, per dare linfa a un sistema che è assolutamente strategico e che in passato è stato trascurato”.
Le domande della commissione
Tutte rivolte a De Donno le domande della Commissione, prima dell’ultimissimo passaggio di chiusura riservato a Gianpietro Briola. Ecco le domande degli onorevoli:
Gloria Vizzini (Movimento 5 stelle)
Professor De Donno, come procede la collaborazione con Pisa (Protocollo Tsunami n.d.r.)? È mai partita?
Mantova e Pavia sono partite per prime col protocollo, grazie al professor Perotti come principal investigator. Tsunami che non è ancora operativo è nato tardi, noi eravamo stati esclusi e poi siamo stati reinseriti probabilmente a causa polemiche che si erano generate. Quando la pandemia è passata è molto difficile organizzare un protocollo così ambizioso, per mancanza di casistiche. Tsunami serve perché ci dà la tranquillità di poter utilizzare il plasma in vista di una possibile seconda ondata della pandemia.
Rossana Boldi (Lega Nord)
Professor De Donno, nel protocollo avete stabilito i criteri di somministrazione? Va adattata caso per caso o gravità per gravità? Dopo quanto tempo un soggetto che ha gli anticorpi li perde? Cosa ne pensa del report dell’Oms, della non più necessità del doppio tampone negativo, ma importanza al dato clinico del paziente?
Noi ci siamo fatti l’idea che il plasma che ci arriva dai centri trasfusionali è molto più di un emocomponente, ha valore farmaceutico. Siamo riusciti a standardizzare in base al numero di anticorpi anche l’utilizzo del plasma. Il 60% dei casi trattati al di fuori del protocollo principale, su 200 pazienti ha avuto bisogno di una sola sacca di plasma, nel rimanete 40% sono servite due sacche o tre. Il caso della donna incinta è stato chiaro, dopo la seconda sacca è migliorata in poche ore. Noi ci basiamo sull’evidenza clinica. Nella nostra esperienza abbiamo osservato l’andamento dei donatori occasionali, e si vede come i n poche settimane c’è un decadimento degli anticorpi. Da parte dell’OMS c’è tanta confusione verso il Covid-19, non lo conosciamo ancora bene.
Dario Bond (Forza Italia)
Professor de Donno, a marzo 2020 in piena pandemia aereo proveniente dalla Cina, con 62 sacche di plasma di pazienti guariti asciate lì. Mantova e Pavia hanno deciso di tenere le sacche di sangue, senza darle all’industria farmaceutica. Perché?
Non entro nel merito, ma noi abbiamo iniziato il nostro protocollo l’11 marzo, scritto in 3 notti e in corsa. Mantova e pavia hanno dato in giro oltre 60 sacche di plasma. Anche loro hanno riscontrato su pochi casi quello che abbiamo detto noi nel nostro piccolo studio e che è stato conformato da studi fatti su 25 mila pazienti. Mantova e Pavia si cono organizzate bene mettendo a disposizione macchine e personale, costruendo la bozza delle banche del plasma. Le banche sono una garanzia, perché in caso di recrudescenza ci permetteranno di avere plasma iperimmune in tempo brevissimo. Noi non sappiamo nulla di questo virus, ci potrebbe essere una seconda ondata ma anche una terza o un quarta, ed è per questo che serve dare una forma farmacologica al plasma iperimmune.
Nicola Provenza (Movimento 5 stelle)
Cosa dicono gli studi di follow-up rispetto agli esisti polmonari?
Da quello che stiamo vedendo è che i pazienti trattati con plasma hanno risolto perdita di olfatto e gusto in tempi molto rapidi, e che hanno miglioramenti sul piano respiratorio molto più veloci. Spero che anche la fibrosi sui giovani possa essere reversibile.
La chiusura di Briola
Affidata a Gianpietro Briola la chiusura dell’audizione per ultime precisazioni doverose sulle sacche di plasma iperimmune cinese e su quello che ci potremo aspettare nei prossimi mesi: “Il plasma cinese va ringraziato, ma le nostre regole di sicurezza sono molto strette e di quel plasma non si conosceva la provenienza clinica, così come è necessario avvenga in Italia. Per un medico quel plasma non aveva le sufficienti garanzie per essere trasfuso in Italia, perché i cinesi hanno protocolli diversi. Di tempo non se n’è perso molto e abbiamo lavorato in una situazione di guerra. L’idea di potenziare la raccolta per verso le banche del plasma iperimmune va perseguita per avere la garanzia di poter trattare pazienti non solo gravi ma anche precoci, ma va compreso quanto plasma va bancato per non sprecarlo visto che quello stoccato poi non potrà rientrare nel giro del plasma che si utilizza normalmente per i plasmaderivati. Conosciamo poco la malattia. Abbiamo da poco iniziato il dosaggio degli anticorpi, ma è una procedura che ancora non ci permette di distinguere le proteine IgG e le IgM. Dai primi studi è emerso che in circa un mese gli anticorpi dimezzano la loro titolazione: una delle ricerche che abbiamo promosso, ad esempio insieme alla Regione Lombardia o allo stesso Cns, è finalizzata proprio a questo, a capire cioè per quanto rimangano attivi gli anticorpi e come raccogliere il plasma iperimmune. Una procedura che consentirà un utilizzo ancor più adeguato del plasma e un riconoscimento sempre più prezioso per lo straordinario impegno di milioni di donatori volontari e non remunerati”.