Nell’ultimo periodo caratterizzato dall’epidemia di Covid-19 i centri trasfusionali -e quindi il Simti (la Società Italiana di Immunoematologia e medicina trasfusionale) – sono stati il perno su cui è ruotato tutto il sistema sangue italiano.
Abbiamo chiesto a Pierluigi Berti, che del Simti è il presidente, di affrontare i molti aspetti della raccolta sangue in questo periodo di rilancio delle attività, a partire dai dettagli su come e perché partirà il progetto, già indicato nell’articolo di Buonsangue.net, nel quale verranno sottoposti a test sierologico tutti i donatori di sangue.
Il progetto del Centro nazionale sangue
E’ vero che in futuro tutti i donatori di sangue potranno sottoporsi a test sierologico?
“L’intenzione del Centro nazionale sangue è quella di realizzare un progetto di respiro nazionale per ricercare i marcatori molecolari sierologici nella popolazione dei donatori di sangue e plasma. Lo studio si sta avviando proprio adesso su indicazioni del ministero stesso”.
Con una circolare inviata ad associazioni di donatori e istituzioni il Cns aveva sconsigliato di proporre ai donatori i test sierologici. Cosa è cambiato?
C’è stato da parte dell’istituto uno scoraggiamento a farlo nei centri singoli perché c’era l’idea di definire una modalità di arruolamento omogenea su tutto il territorio nazionale. La verifica nei donatori della presenza di anticorpi è volta a costituire una popolazione di donatori utili per l’aferesi e la donazione di plasma iperimmune.
Quando partirà il progetto?
Dopo che vedremo cosa succederà alla luce degli studi sierologici che si stanno compiendo in tutt’Italia, dovrebbe partire.
La raccolta sangue durante il Covid-19
Garantire la sicurezza dei centri trasfusionali nel periodo Covid-19 è stata una priorità non solo per i pazienti con problemi ematologici che ricevono regolarmente il sangue, ma anche per garantire una sicurezza per la salute dei donatori e per incitarli ad un maggior coinvolgimento nella pratica della donazione dopo che si era generata la paura del contagio all’interno delle sale d’attesa.
Cos’è avvenuto all’interno dei centri trasfusionali e com’è andata la raccolta sangue durante il periodo caratterizzato da Covid-19?
All’inizio di marzo nel mondo della raccolta sangue sono circolate delle perplessità rispetto all’epidemia. Si temeva che le attività di donazione avrebbero subito ripercussioni gravi, e non fossero più esercitabili. Inoltre la presenza e la circolazione del Sars-CoV-2 era massiccia in certe aree del paese. Si è quindi temuta una diminuzione delle donazioni che, se si fossero fermate, avrebbero causato conseguenze gravi nei pazienti oncologici.
La questione è stata chiarita dalla circolare del ministero della Salute, e dopo l’appello della protezione civile e c’è stata una risposta del donatore molto superiore alle aspettative. Allora è stato necessario ricalibrare la raccolta di sangue in quanto, nel periodo dell’epidemia, le necessità trasfusionali erano minori anche grazie al blocco degli interventi chirurgici non urgenti.
I donatori, secondo le informazioni apprese dal nostro osservatorio, sono stati molto attenti a rispettare le nuove modalità operative che abbiamo dovuto necessariamente introdurre, a partire dai questionari che venivano fatti telefonicamente fino alle tante nuove regole. Anche la prenotazione per fasce orarie che toglieva autonomia decisionale al donatore è stata capita, per andare verso il rispetto delle norme di distanziamento sociale e il divieto di assembramento. All’interno dei centri trasfusionali abbiamo dovuto adeguarci con dei cambiamenti nell’organizzazione delle donazioni.
Ad esempio? Che genere di cambiamento avete dovuto operare?
Abbiamo riparametrato tutte le attività di accesso dei donatori in base a fasce orarie ben definite. Ci siamo impegnati per riuscire a rispettare quello che avevamo prospettato ai donatori, cioè la prenotazione della donazione con il chiaro scopo di evitare le file all’interno dei centri e garantire una maggiore sicurezza contro la diffusione dell’epidemia di Covid-19. Quindi organizzare tutto per evitare che i donatori dovessero attendere il proprio turno creando assembramenti. Da parte degli addetti dei centri trasfusionali c’è stato uno sforzo organizzativo importante e non sono risultate segnalazioni di particolari problematiche.
Il momento di attesa per il donatore è il momento in cui ti guardi intorno e ti prepari prima di entrare volontariamente a donare. Com’è cambiata l’attesa?
Il momento preliminare all’interno dell’edificio era ridotto perché non potevano entrare più di un certo numero di persone, incluso il personale sanitario. All’esterno della strutture attendevano le persone distanziate, veniva misurata la temperatura e veniva chiesto ai donatori di rispettare le regole. Internamente, durante la donazione, vigevano altre regole legate alla tutela dei donatori, che andavano sommate a quelle già presenti nei centri trasfusionali.
Però il sistema per la maggior parte ha tenuto, possiamo essere soddisfatti di come abbiamo superato il periodo?
Si, il sistema ha garantito la necessaria quantità di scorte per tutti i pazienti e ha mostrato una buona tenuta in condizioni complesse.
La raccolta di plasma iperimmune
Com’è andata e come sta andando la raccolta del plasma iperimmune nella terapia d’emergenza contro il Covid-19?
Abbiamo avuto spontaneamente una forte manifestazione di interesse da parte dei donatori che, soprattutto in Lombardia hanno voluto contribuire alla raccolta di plasma da convalescente. C’è stata anche una manifestazione spontanea di partecipazione sia da parte di ex pazienti che non avevano mai donato, sia da parte dei donatori regolari che si sono presentati anche per donare il plasma iperimmune grazie ai vari studi che sono in corso in Italia. E’ stato per noi un buon segnale. E’ chiaro che la disponibilità per raccogliere plasma per le banche è più maggiormente rilevante nelle zone dove c’è una maggior concentrazione di persone guarite, quindi le aree dove si è concentrata l’epidemia.
A proposito del plasma iperimmune, cosa ne pensa della polemica che si è generata e della disinformazione che è circolata sull’argomento?
Ho seguito i dibattiti e le polemiche tra esperti legati a questa tematica. Una serie di informazioni sono state date in pasto al grande pubblico, e si è stati lontani da una discussione basata su dati di fatto e presupposti scientifici.
Noi non possiamo fare altro che augurarci che sia vero che il plasma iperimmune funzioni. Non avendo molte armi ci piacerebbe proporre questa terapia, non come una terapia sperimentale, ma come terapia consolidata sulla base di una ampia letteratura scientifica. Allora verrebbe di conseguenza tutto il resto: l’impegno dei centri trasfusionali e le banche dei donatori di plasma iperimmune in tutto il Paese.
Quindi aspettiamo di avere le conferme per aprire la strada per la raccolta di plasma iperimmune per uso clinico, e per la raccolta di immunoglobuline specifiche o di altri prodotti che possono servire per produrre farmaci per la stessa esigenza. In altri paesi stanno lavorando anche alla produzione di anticorpi monoclonali mirati a bloccare le proteine del virus che lo rendono infettivo. Anche quella può essere una strada nella lotta al Covid-19.
L’indagine epidemiologica Istat sulla diffusione del Covid-19
La campagna ministeriale, che ha come partner l’Istat, punta a coinvolgere nell’indagine sierologica 150mila cittadini scelti a caso per valutare le dimensioni dell’epidemia nel nostro Paese.
A che punto siamo con i test sierologici svolti a campione?
L’indagine sierologica per ora ha visto l’adesione di una percentuale di circa 30/40 per cento di tutti coloro che sono stati contattati per partecipare. La risposta è stata inferiore a quella che ci si aspettava.
Se qualcuno volesse farsi fare il test sierologico potrebbe aderire all’indagine Istat?
Non si può aderire perché il presupposto per l’indagine è che il campione selezionato nelle diverse regioni deve essere rappresentativo dell’intera popolazione regionale e quindi viene estratto con criteri statistico probabilistici, cioè casuali e random. Non è possibile l’adesione spontanea perché potrebbe alterare la significatività statistica del campione. Perché se uno ha qualche ragione per fare il test, non è la persona estratta a caso, ma è una persona che forse ha un motivo, il che distorcerebbe le informazioni risultanti.
I test sierologici: a che punto è la situazione
Come è possibile sottoporsi a test sierologico?
Le diverse regioni stanno dando disposizioni tutte diverse rispetto alle politiche sanitarie di sorveglianza per analizzare la distribuzione dell’epidemia sul territorio. In alcune strutture private c’è la possibilità di svolgere il test a pagamento.
Qual è esattamente la funzione dei test? Dovremmo farlo tutti?
Lo scopo dei test sierologici è di tipo epidemiologico, non di tipo diagnostico. Il test sierologico non mi dice con certezza se un soggetto, quando è positivo, è portatore del virus oppure no. Infatti i soggetti positivi devono essere sottoposti a tampone. Il tampone può documentare se un soggetto è infetto o no.
Se il test risulta negativo il cittadino potrebbe essere ancora soggetto a infezione da Covid-19 oppure potrebbe essere infetto e non aver superato gli anticorpi. Se risulta positivo potrebbe aver superato l’infezione o non averla superata, e dunque avere ancora il virus nelle vie respiratorie. L’informazione che mi dà il test sierologico è scarsa.
Quindi ci può essere un’utilità del test a fini epidemiologici, perché dimostra in quali zone del paese si è avuta una maggiore diffusione del Covid-19. Il test inoltre non può certificare che il cittadino, siccome è risultato positivo e ha gli anticorpi, non si infetterà nuovamente.
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