Il plasma: tutto ciò che è necessario sapere della terapia anti Covid-19

2020-06-11T09:17:20+02:00 11 Giugno 2020|Mondo|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Se qualche mese fa plasma e plasmaferesi erano parole trovabili con semplicità soltanto sui siti e sui canali social delle associazioni di donatori di sangue, con l’arrivo del Coronavirus e la conseguente ricerca sperimentale sul plasma iperimmune da pazienti guariti, il tema plasma si è ritrovato a campeggiare in modo perdurante nell’informazione mainstream, con le inevitabili strumentalizzazioni. Il tema plasma, lo diciamo da sempre, è un tema complesso, che contiene risvolti importanti per la comunità e chiama in causa implicazioni etiche e geopolitiche che l’informazione superficiale e usa e getta dei mass media ha già contribuito a semplificare, generando fake news e disinformazione.

Allo scopo di fare chiarezza sul plasma e su tutti i meccanismi di interesse pubblico che regolano la raccolta, la lavorazione industriale e la distribuzione dei prodotti plasmaderivati, abbiamo creato un vero e proprio vademecum chiarificatore, con tutte le possibili domande e le relative risposte.

Da dove arriva il plasma?

Il plasma in Italia si raccoglie attraverso il dono dei volontari che aderiscono alla donazione di sangue e, appunto, di plasma. Per organizzare la raccolta, monitorare le regioni e dati, dialogare con le strutture sanitarie al fine di ottimizzare, pianificare e parificare l’utilizzo delle risorse e dei farmaci plasmaderivati, esiste un documento quinquennale condiviso che si chiama Piano nazionale plasma 2016-20, attraverso il quale si persegue il raggiungimento dell’autosufficienza nazionale.

L’italia è un paese autosufficiente per quanto riguarda la raccolta plasma e necessità di plasmaderivati?

Se per quanto riguarda il sangue intero l’Italia ha già raggiunto l’autosufficienza nazionale da diversi anni, per il plasma ancora vi sono dei passi da compiere. La raccolta sul territorio nazionale consente di ovviare al 70% del fabbisogno, mentre per la restante quota del 30% dei plasmaderivati mancanti è necessario ricorrere al mercato.

Perché i donatori italiani non sono remunerati?

In Italia il sangue e tutti gli emocomponenti sono considerati un bene pubblico tutelato dalla legge. Affinché il dono sia il più possibile sicuro ed etico, le associazioni italiane promuovono un dono che abbia le seguenti caratteristiche: volontario, anonimo, gratuito, associato e responsabile. Esiste un accordo convenzionale tra Stato e associazione di donatori per regolare, tramite un tariffario predefinito, il rimborso che spetta alle associazioni che lavorano sul territorio per sostenere ogni singola donazione. Per ogni donazione di sangue intero, tra le necessità dell’attività associativa e quelle dell’attività di raccolta, lo stato riconosce 61,50 euro. Per ogni donazione di plasma, 70,75 euro.

Com’è regolamentato il rapporto tra donatori e stato italiano?

Al fine di garantire elevati livelli di qualità e sicurezza del sangue e per tutelare la salute sia del donatore, sia dei pazienti, ad ogni donazione, per legge il sangue prelevato viene sottoposto ai seguenti esami:

Esame emocromocitometrico completo.

Esami per la qualificazione biologica del sangue e degli emocomponenti di seguito elencati:

– HBsAg (antigene di superficie del virus dell’epatite virale B);

– Anticorpi anti-HCV (anticorpo contro il virus dell’epatite virale C);

– Test sierologico per la ricerca combinata di anticorpo anti HIV (anticorpo contro il virus

dell’AIDS) 1-2 e antigene HIV 1-2;

– Anticorpi anti-Treponema Pallidum (TP) con metodo immunometrico (contro la sifilide);

– HBV/HCV/HIV 1 NAT (test per rilevare la presenza dei virus delle epatiti virali B, C e dell’AIDS).

Inoltre, in occasione della prima donazione vengono inoltre eseguiti i seguenti esami per la determinazione dei gruppi sanguigni:

– Fenotipo ABO mediante test diretto e indiretto.

­– Fenotipo Rh completo.

– Determinazione dell’antigene Kell e, in caso di positività dello stesso, ricerca dell’antigene Cellano.

– Ricerca degli anticorpi irregolari anti-eritrocitari.

Il donatore periodico è sottoposto, con cadenza almeno annuale, anche ai seguenti controlli ematochimici: glicemia, creatininemia, alanin-amino-transferasi, colesterolemia totale e HDL, trigliceridemia, protidemia totale, ferritinemia. (Fonte Avis nazionale)

Qual è il processo industriale del plasma?

La filiera del plasma italiana si concretizza tramite procedure altamente regolamentate dalla legge, che garantiscono i massimi livelli di qualità e sicurezza, in un procedimento che si potrebbe chiamare “da vena a vena”: un processo che inizia dal momento in cui la materia biologica viene donata, e finisce con l’utilizzo dei farmaci da parte dei cittadini. La raccolta del plasma è organizzata, come già detto, grazie all’attività delle associazioni volontarie, che garantiscono un dono anonimo, volontario, gratuito, responsabile e associato. In tal modo, è assicurato un doppio controllo: quello naturale, con la selezione degli stili di vita dei donatori, e quello medico, visto che già per la prima donazione, quella differita, sono previsti ulteriori controlli medici e indagini tramite questionario.

La donazione avviene quindi nei centri trasfusionali o nelle autoemoteche, e può essere di diverso tipo: quella standard, da cui si ricava la classica sacca di sangue intero che servirà per le trasfusioni o per preparazione di emocomponenti (e da cui verrà estratto il plasma per scomposizione); oppure si potrà procedere attraverso la plasmaferesi, che è un procedimento espressamente legato alla raccolta diretta del plasma grazie a macchinari (i separatori cellulari) che prelevano il sangue e ne separano le componenti, restituendo poi al donatore le cellule in un continuo ricircolo. La plasmaferesi dura di più (da 35 minuti a 50 minuti circa contro i 15 della donazione standard di sangue intero), e si effettua generalmente su appuntamento. Chi fa la plasmaferesi però potrà donare più spesso, visto il minor intervallo previsto tra una donazione e l’altra: il donatore attraverso plasmaferesi potrà infatti tornare a donare circa 14 giorni dopo l’ultima donazione, senza nessuna controindicazione.

Dopo la raccolta (con le sacche di plasma sottoposte a severi controlli virologici) avviene il congelamento: il plasma da aferesi è congelato immediatamente, quello da sangue intero viene centrifugato (per separare il plasma, appunto) e congelato entro 6 ore.

Solo a questo punto avviene lo stoccaggio in celle frigorifere, e poi il trasporto all’industria di frazionamento. Attraverso i processi lavorativi industriali (eseguiti con normative standard e comprovate sul piano della qualità e della sicurezza finale, il Plasma Master File), le proteine isolate vengono raffinate e trasformate in farmaci plasmaderivati.

Quali sono i plasmaderivati più importanti sul piano delle cure?

I farmaci plasmaderivati principali sono:

– Fattori della coagulazione (Fattore VIII e IX)

– Albumina

– Immunoglobuline

Sono chiamati farmaci salvavita e sono fondamentali nella cura delle malattie oncologiche ed ematologiche, e in varie forme di anemia cronica, immunodeficienze, emofilia.

Che cos’è il plasma iperimmune anti-Covid?

È il plasma donato dai pazienti guariti da Covid-19. Contiene gli anticorpi che possono essere utili nel curare questa patologia. La cura avviene attraverso trasfusioni ed è attualmente oggetto di una sperimentazione in tutta Italia.

Il plasma iperimmune è un business?

Il plasma iperimmune non è un business. Dopo la fase di sperimentazione iniziale che ha curato circa 80 pazienti tra Pavia e Mantova, la sperimentazione sulla terapia da plasma iperimmune (ovvero raccolto da pazienti guariti dal Covid-19 e quindi dotato di anticorpi) è stata estesa a tutta Italia, affinché gli effetti positivi si possano misurare su un numero più significativo di pazienti.

Nel frattempo, in varie regioni è iniziato un processo di “bancaggio” del plasma da raccogliere dai pazienti guariti: un plasma che se congelato mantiene le sue caratteristiche iperimmuni per molto tempo e che potrà essere utilizzato in tutte le emergenze in caso di una eventuale recrudescenza autunnale dell’epidemia. Questa fase dell’utilizzo del plasma richiede solo l’inattivazione virale, e non prevede ulteriori lavorazioni industriali, e dunque le uniche azioni necessarie sono la plasmaferesi da parte del donatore e i controlli di sicurezza sul plasma donato.

Potrà diventare un business in futuro?

In questo momento in Italia è in corso una sperimentazione nazionale sul plasma iperimmune su un maggior numero di pazienti (poco meno di 500), allo scopo di comprendere al meglio e sulla base di statistiche più affidabili che tipo di risorsa potrà diventare questa terapia emergenziale. Le tappe ipotizzate nell’evoluzione di una terapia che per ora ha dato ottimi risultati su pazienti ospedalizzati non in fase totalmente avanzata della malattia sono 1) la raccolta del plasma iperimmune da congelare e sistemare nelle banche del plasma in preparazione in molte regioni italiane, e 2) la ricerca per la creazione di plasmaderivati basati sulle immunoglobuline specifiche per prevenire l’infezione da Covid-19.

Poiché, tuttavia, la battaglia contro il Covid-19 si gioca sul piano delle tempistiche e della velocità, è del tutto evidente che l’azienda in grado di fornire un prodotto sicuro e ad alto standard qualitativo nel più breve tempo possibile otterrà un vantaggio industriale, ma in ogni caso anche questa fornitura rientrerebbe nel principio del conto terzi, ovvero della plasmalavorazione di un prodotto pubblico sia al momento della fornitura, sia in quella della ridistribuzione del farmaco. Così come avviene per gli altri plasmaderivati, ciò che lo Stato pagherà, a una cifra convenzionata, è la lavorazione del plasma.

Quante sono le aziende che lavorano il plasma?

Sono cinque le aziende farmaceutiche, che in base al decreto legge del 5 dicembre 2014, sono state accreditate a poter operare la plasmalavorazione in Italia, in un regime di libero mercato regolato da bandi di gara pubblici emanati dai cinque raggruppamenti regionali attraverso i quali è organizzato il sistema trasfusionale italiano:

  1. Baxter Manufactoring (USA), stabilimenti di Rieti e Pisa, che poi ha ceduto i suoi stabilimenti alla multinazionale Takeda (Giappone)

 

  1. Csl Behring (Australia), stabilimenti di Berna, Svizzera

 

  1. Grifols (Spagna), stabilimenti Instituto Grifols Barcellona, Spagna

 

  1. Kedrion Biopharma (Italia), stabilimenti Bolognana, Gallicano, Lucca, Sant’Antimo (Napoli)

 

  1. Octapharma (Svizzera), stabilimenti Stoccolma, Svezia

 

Perché le aziende di plasmalavorazione sono indispensabili nella produzione di un farmaco al plasma anti-Covid?

Il know-how e la tecnologia necessari per lavorare il plasma e trasformarlo in farmaci salvavita sono un patrimonio delle aziende private multinazionali, che svolgono questa attività praticamente in tutto il mondo, attenendosi alle legislazioni dei paesi in cui operano. In Italia, non esiste un’azienda statale o pubblica che possa occuparsi di plasmalavorazione, per cui la sperimentazione e la realizzazione di un farmaco basato sulle immunoglobuline provenienti da plasma iperimmune potrebbe essere realizzato solo nei laboratori di un’azienda che da anni si occupa di tali lavorazioni altamente specializzate.

Perché’ le aziende straniere possono gestire una risorsa così importante e strategica per il Paese?

Dal decreto del 5 dicembre 2014 le aziende straniere che rispettano la legge italiana in materia possono partecipare ai bandi pubblici di plasma lavorazione secondo i principi del libero mercato. Se da un lato la concorrenza non può che migliorare, almeno idealmente, il rapporto qualità prezzo delle prestazioni che le aziende offrono allo stato committente, dall’altro lato bisogna valutare le implicazioni geopolitiche di tale regime.

Oggi il plasma deve essere considerato un bene nazionale strategico, al pari dell’acqua e dell’energia. È noto infatti che gli Stati Uniti d’America siano il maggior paese produttore di plasma e farmaci plasmaderivati, circa il 60% della produzione globale a fronte di una popolazione del 5%, e che in molti paesi la pratica della raccolta plasma avvenga a pagamento (i donatori vengono remunerati).

Fig. 1

La raccolta a pagamento, dunque, è un tema verso cui le grandi multinazionali del settore sono molti sensibili, giacché il giro d’affari mondiale del settore dei plasmaderivati è in espansione e si appresta a raggiungere, nel 2021, il volume di circa 20 miliardi di dollari.  In quest’ottica, un sistema come quello italiano è garanzia di etica e controllo pubblico della materia prima. In caso di un’epidemia di portata enormemente maggiore dell’attuale, o di guerra, o di catastrofe naturale, l’autosufficienza nazionale sul piano del sangue e degli emoderivati e in particolare il plasma diventa dunque un fattore decisivo, perché proprio gli Usa, i maggiori fornitori mondiali, potrebbero decidere di tenere il proprio plasma per il fabbisogno interno.

Che fatturato hanno le multinazionali autorizzate a lavorare in Italia?

In infografica, ecco il valore di mercato delle grandi aziende internazionali tra attività generale e quota relativa alla lavorazione del plasma.

Fig. 2

 plaCome guadagnano le multinazionali con il plasma?

Il molti paesi del mondo, e in particolar modo negli Stati Uniti ma anche in paesi europei come la Germania, la raccolta del plasma avviene a pagamento. Intorno al plasma retribuito ruotano questioni che meritano di essere approfondite:

  1. Ruolo della povertà. C’è che ritiene sia la povertà ad alimentare il mercato, e chi invece, come la Plasma Protein Therapeutics Association (un’associazione che si occupa di raccogliere plasma attraverso pratiche commerciali) sostiene che nei centri di raccolta si alternino invece persone di ogni ceto sociale, tesi che sembra essere smentita da un ricerca del Centre for Health Care, secondo cui la stragrande maggioranza dei centri di raccolta americani sono chirurgicamente posizionati in quartieri depressi e poveri. Opinioni contrastanti investono anche la questione etica: sfruttamento di chi vive con 2 dollari al giorno oppure opportunità per chi altrimenti non avrebbe fonti di guadagno? C’è addirittura chi, come lo studioso Luke Sheafer, nell’ottica di stabilire un prezzo equo, ha lanciato l’idea di un “salario minimo per i donatori di plasma”.
  2. Impatto sulla salute. Il giudizio della maggior parte degli esperti, in questo senso, è che le troppe donazioni abbiamo un effetto negativo sulla salute generale dei “donatori”, e che il plasma di “donatori ricorrenti” finisca per essere via via sempre meno efficace e povero delle proteine curative, ma c’è anche chi ritiene tali effetti abbastanza trascurabili.
  3. Il linguaggio dei plasma a pagamento. Zoe Greenberg, autrice di un’inchiesta sul New York Times, nota un dettaglio molto interessante: si utilizza per il plasma raccolto con il denaro ma con un vocabolario che si rifà in toto a quello della donazione gratuita. Farsi retribuire con 30 o 40 dollari a seduta, è una chiara vendita, eppure nelle brochure pubblicitarie le parole “dono”, “donatore” e “donazione” sono le più suffragate. Come mai? Semplice: al fine di legare alla ragione primaria, la necessità di un profitto, un concetto positivo come la beneficenza.

Nei tantissimi paesi dove non esiste la legge italiana della plasmalavorazione in conto terzi, le aziende possono raccogliere plasma a pagamento, e lavorarlo per creare farmaci plasmaderivati da vendere nel libero mercato. In questo modo è possibile generare enormi guadagni.