Il grande tenore Andrea Bocelli pochi giorni fa ha donato il plasma iperimmune insieme a sua moglie Veronica, dopo essere guarito da Covid-19. Abbiamo avuto il privilegio di intervistarlo per chiedergli che cosa lo ha portato alla scelta di donare e che cosa ne pensa dell’aiuto che si può dare al prossimo quando se ne presenta l’opportunità. Il dono del plasma di un artista amato e popolare come Bocelli, e di sua moglie, gesto elegante e che dimostra un gran cuore e una grande attenzione al bene comune, potrà di certo fungere da esempio e invogliare a donare tantissime altre persone.
Com’è nata l’idea di donare il plasma iperimmune? Cosa vi ha spinto a farlo?
Abbiamo saputo, attraverso internet, degli studi inerenti la possibilità di curare i malati utilizzando il plasma di pazienti guariti dal Covid-19. Attraverso amici medici abbiamo approfondito, conoscendo meglio quel progetto all’avanguardia che vede la regione Toscana in prima linea. Infine ho parlato con l’amico Francesco Menichetti, direttore del reparto di malattie infettive di Pisa e sono andato a trovarlo, al centro trasfusionale, per fare il mio dovere… Davvero nulla di speciale: semplicemente, informato della possibilità di essere utile, ho colto questa opportunità.
Com’è andata l’esperienza della donazione in generale? Nel momento in cui si sottoponeva a plasmaferesi a cosa pensava?
È andato tutto per il meglio. Donare è sempre e comunque un privilegio. Estendo il ragionamento a qualunque gesto di solidarietà: si tratta, fondamentalmente, della gioia di condividere. Ed è infinitamente più semplice e gratificante essere dalla parte di chi dona, anziché trovarsi nella contingenza di essere colui che è bisognoso d’aiuto.
L’idea di aiutare persone malate di Covid-19 perfettamente sconosciute che effetto fa?
Da oltre un quarto di secolo ricevo straordinari gesti di affetto e benevolenza da “perfetti sconosciuti”: anche se non ne conosco i nomi, sono sorelle e fratelli, tutti coinquilini del mondo e figli del medesimo padre celeste… In questo caso il mio è stato, ripeto, un piccolo gesto. Una priorità alla quale ho giusto sacrificato il riserbo, mantenuto in precedenza, riguardo il fatto che il virus aveva coinvolto – seppure in modo lievissimo – anche la mia persona e parte della mia famiglia.
Cosa pensa dei donatori di sangue e plasma che regolarmente donano pensando alle persone che hanno patologie del sangue e di vario tipo?
Penso prima di tutto che siano persone per bene, che siano donne e uomini che hanno scelto di stare dalla parte del bene, dando il proprio contributo per migliorare il mondo. Fare qualcosa di buono per gli altri credo sia un desiderio naturale, insito nel cuore di ogni essere umano. Prendersi cura delle persone non vuol dire essere generosi, lo ritengo, piuttosto, un atto d’intelligenza, un percorso che tutti – ciascuno come può, secondo i mezzi di cui dispone – dovremmo percepire come qualcosa che non ha alternative.
Vuole mandare un messaggio alle persone che decideranno in questi giorni se partecipare o no alla donazione per la terapia con il plasma iperimmune?
Spero che, potendo scegliere, optino per la generosità. La vita stessa è un dono, da festeggiare sempre e comunque, da celebrare a ogni respiro… E donare significa far della propria vita un’opera d’arte, renderla un percorso coerente che segue una compiutezza d’ordine poetico… Ma in cuor suo, ogni donatore di sangue tutto questo già lo sa.
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