Lo studio del professor Bacco, i numeri sugli asintomatici da Covid-19

2020-05-11T14:09:48+02:00 11 Maggio 2020|Attualità|
Covid-19 iperimmune di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Un’equipe di medici legali e ricercatori ha da poco effettuato una ricerca senza fine di lucro sul Coronavirus molto dettagliata, su un campione numerico decisamente rilevante formato da 7038 persone. La ricerca, che ha già dato risultati piuttosto interessanti e sta andando avanti su altri 7000 individui, ha come portavoce il dottor Pasquale Mario Bacco e fa capo alla Meleam Spa, società statunitense che ha una sede anche in Puglia, a Bitonto, e che si occupa di medicina e di sicurezza sul lavoro.

L’equipe del professor Bacco ha elaborato sul Coronavirus una serie di conclusioni su base scientifica e sperimentale che aggiungono nuova e preziosa conoscenza alle tantissime (e talvolta contrastanti) informazioni oggi a disposizione del pubblico: conclusioni che secondo Bacco non hanno sono riuscite a superare il muro dell’informazione mainstream perché in contrapposizione con le tesi dei molti scienziati televisivi che hanno monopolizzato il dibattito in quest mesi.

I risultati dell’equipe di Bacco, tuttavia, fanno maggior luce su uno dei punti principali della conoscenza sul comportamento del Coronavirus in Italia, ovvero la reale diffusione del Covid-19 tra la popolazione nella fascia d’età compresa tra i 18 e 60 anni (quella del campione analizzato) asintomatici compresi.

Una prospettiva in grado di quantificare il possibile bacino d’utenza di donatori di plasma utili alla terapia da plasma iperimmune: dallo studio emerge infatti che circa il 34% della popolazione è entrata in contatto con il Covid-19 sviluppando gli anticorpi. Ecco come il professor Bacco ha spiegato la ricerca della sua equipe a Donatorih24.

Professor Bacco, lo studio portato avanti dalla sua equipe, offre risposte molto precise su aspetti molto dibattuti del Coronavirus. Vuole sottolineare quali secondo lei sono gli aspetti più rilevanti della vostra ricerca?

L’aspetto più importante è stato di individuare quasi un 50% di soggetti positivi e con anticorpi già nella prima di fase di sperimentazione di febbraio. Questo ci fa capire che il virus sicuramente era in Italia già da cinque o sei mesi. Negli organismi dei soggetti analizzati siamo andati a scoprire una presenza di immunoglobuline già datata, una sorta di memoria che funziona come carta d’identità del sistema immunitario. Facciamo l’esempio di Brescia: a Brescia, su 400 persone, 199 risultano positivi e con anticorpi: questo vuol dire che già a fine settembre o inizio ottobre, quando peraltro si registrarono polmoniti con morti in quel territorio, molto probabilmente il Coronavirus si era già diffuso tra la popolazione manifestandosi con sintomi sugli anziani con patologia concomitanti. Inoltre ci siamo resi conto da subito, ed è questo il grande errore dei virologi televisivi, che il virus soffre il caldo. Bastava poco a capirlo, serviva alzare le temperature in laboratorio al costo di 8 euro per capire il comportamento del virus nelle nuove condizioni. Io mi chiedo come sia possibile che scienziati come la Capua o virologi come Burioni non lo sapessero. Attorno al clima gira tutto il comportamento del virus. Noi diamo per scontato che il virus sia nato in Lombardia, ma probabilmente potrebbe succedere che presto ci renderemo conto che il virus non è nato lì, e che in Lombardia il virus ha semplicemente trovato delle condizioni climatiche ottimali. Approfondire questo aspetto per la ripresa di ottobre è importantissimo: dobbiamo capire ora dov’è e come agirà questo virus così eterogeneo, perché al nord potrebbe avere manifestazioni cliniche che al sud potrebbe non avere e viceversa. Non possiamo considerarlo come un virus che agisce con unità patologica.

Alla luce di risultati della vostra ricerca, che tipo di approccio bisognerebbe avere verso il virus nei prossimi mesi? Un approccio più scientifico e legato alla realtà particolari di categorie a rischio o territori, o va bene l’attuale e progressiva uscita dal lockdown?

Generalizzare è stato un altro errore, che forse non si poteva immaginare. Questo virus va trattato in modo diverso a seconda delle condizioni. Ci sono differenze tra Sicilia e Lombardia, e di queste differenze bisogna tenere conto. Serve competenza, e si spera che dopo questa fase tornino in voga le competenze. I medici devono fare i medici, e i comunicatori devono fare i comunicatori. Noi dobbiamo passare le informazioni ma spetta ai comunicatori diffonderle al meglio.

Lei ha lamentato, talvolta, una scarsa attenzione da parte dei media mainstream sui risultato del vostro studio. Come la spiega?

Noi siamo arrivati con dei dati molto diversi da quelli presentati dai virologi mediatici come Burioni, che parlava di un un’infezione totale che avrebbe interessato il 2% della popolazione, o della Capua che indicava il 10%. Noi che siamo medici senza sponsor abbiamo parlato da subito di un contagio avrebbe potuto toccare il 50%, un numero che è vicino alla realtà e lascia intendere come si sia vicini all’immunità di gregge.

I numeri che emergono dal vostro studio parlano di un 75% di soggetti che hanno sviluppato gli anticorpi in numero efficace tra quelli che hanno contratto il virus, circa un 30% del campione totale. Questo significa che sul territorio nazionale gli immuni sono moltissimi e che dunque il potenziale numero di donatori di plasma iperimmune è molto alto?

Questi soggetti che hanno sviluppati gli anticorpi possono essere una fonte meravigliosa per la terapia al plasma iperimmune, che è criticata dai soliti scienziati mediatici. Sono soggetti asintomatici, cioè portatori di anticorpi che sono stati capaci di sconfiggere il virus. Questi individui sono proprio delle fonti di veri e propri “soldatini”, anticorpi che sono in grado di aiutare i pazienti che ne hanno bisogno, pazienti gravi o con patologie concomitanti già ospedalizzati.

Come equipe medica che idea avere della terapia al plasma iperimmune?

Secondo noi è una terapia assolutamente eccezionale. Speriamo che la sperimentazione in progresso dia gli stessi risultati anche su numeri più grandi. Noi attualmente come possibilità terapeutiche abbiamo la profilassi con idrossiclorochina, abbiamo un farmaco antinfiammatorio immunodepressore utilizzato dal professor Ascierto – un vero genio della medicina che è andato a bloccare la principale causa di morte – e poi abbiamo la terapia al plasma iperimmune, che probabilmente ci permetterà di uscire da questo virus.

Ecco di seguito, punto per punti i principali risultati dell’esperimento dell’equine del professor Bacco:

Campione:

Totale Positivi al Test nei Quattro Step

Su 7.038 sono risultati positivi 2.365 soggetti, circa il 34% (33,6%).

Totale Incidenza IgG

Su 2.365 positivi sono risultate presenti le IgG in 1.779 soggetti, circa il 75% (75,2%)

Cosa ha detto lo studio:

  1. La reale presenza del Covid-19 sul territorio nazionale

Oltre il 30% della popolazione è entrata in contatto con il Covid-19 sviluppando gli anticorpi;

  1. L’incidenza del clima nello sviluppo e nella selezione del Covid-19

Il Covid-19 come tutti i coronavirus è condizionato in maniera determinante dal clima. Quindi scomparirà in estate per poi riapparire con lo scendere delle temperature;

  1. Quali sono le zone d’Italia più esposte

Essendo sensibile al clima, il Covid-19 si manifesterà sempre in maniera più incisiva nelle zone più fredde d’Italia. Quindi anche ad uguale “concentrazione”, la patogenicità del virus sarà sempre maggiore al nord, rispetto al sud Italia/Europa;

  1. Indicazioni concrete dello spostamento del virus sul territorio nazionale

Il Covid-19 si è spostato verso il sud già da fine 2019 ed ad inizio 2020 era già presente (risultato evidenziato dall’incidenza delle IGG tra i positivi). Concentrazioni inferiori e minore capacità aggressiva per via del clima, hanno reso la maggior parte delle infezioni, soprattutto le prime, quasi asintomatiche;

  1. l’incidenza degli asintomatici

Quasi il 90% degli infetti non ha manifestato nessuno dei sintomi riconducibili al Covid-19, primo tra tutti l’aumento della temperatura corporea.

  1. Il vero tasso di mortalità

La mortalità diretta da Covid-19 non è superiore all’2%. Se non si considera la fascia d’età superiore a 55 anni, l’incidenza scende al di sotto dell’1%;

  1. Il ruolo, nella diffusione, delle varie fasce d’età

I veri untori sono stati i soggetti fino ai 30 anni. Quasi sempre completamente asintomatici, hanno infettato ed amplificato il resto della diffusione.

  1. Conferma del ruolo degli estrogeni sull’espressione dei recettori cellulari, nella minore incidenza nel sesso femminile

Le donne presentano ovunque, tranne rarissimi casi, un incidenza inferiore della capacità del Covid-19 di infettare. E’ quindi evidente che presentano un ostacolo più arduo per il virus proprio nella fase iniziale dell’infezione (dove sono fondamentali i recettori cellulari), più che nella manifestazione clinica;

  1. I soggetti realmente più esposti

Le fasce di età più giovani, almeno fino ai 30 anni, presentano un’incidenza di positività agli anticorpi più che doppia rispetto alle fasce più anziane, che invece sono quelle che quasi unicamente manifestano i sintomi.

  1. Correlazione tra abitudine voluttuaria al fumo e infezione

La percentuale di positivi tra i soggetti fumatori è leggermente più alta (+3%), ma non tale da poter determinare una conclusione valida; con un eccesso di zelo potremmo collegarla alla risposta immunitaria che nei fumatori generalmente è più lenta e meno efficace. Sicuramente sappiamo che il percorso clinico è fortemente influenzato dall’essere o meno fumatori per svariati motivi tra cui il più importante è una condizione infiammatoria basale che accentua i danni da malattia.

  1. Correlazione tra vaccinazione influenzale e infezione

I dati negano una maggiore esposizione al virus dei soggetti vaccinati.

  1. Correlazione tra abitudini alimentari (alimentazione vegana, vegetariana ed onnivora) ed incidenza dell’infezione.

Nessuna differenza di rilievo si è riscontrata tra i soggetti con diverse abitudini alimentari, tranne una leggera maggiore incidenza negli onnivori. Anche in questo caso si può ipotizzare che potrebbe avere un ruolo, con meccanismi simili al fumo, una risposta immunitaria notoriamente più lenta e meno efficace nei consumatori abituali di proteine animali.

  1. Incidenza sui soggetti affetti da beta talassemia e quindi sull’utilità del farmaco antimalarico idrossiclorochina come profilassi

I beta talassemici sottoposti a test sono risultati, tranne 5, tutti negativi. Questo confermerebbe che l’alterazione/occupazione delle catene beta (effetto dell’idrossiclorochina) è una validissima profilassi per il Covid-19, molto più efficace che come terapia in fase avanzata.