Ogni donatore di plasma iperimmune salva due malati
La cura partita da Pavia e Mantova fa grandi progressi

2020-05-07T11:45:30+02:00 4 Maggio 2020|Attualità|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

La cura al Coronavirus basata sul plasma dei convalescenti va avanti nella sua fase di sperimentazione. Procede senza i riflettori puntati, e un po’ defilata nel generale dibattito sulle modalità terapeutiche, ma i risultati ci sono e hanno nomi e cognomi: quelli delle persone guarite. Che sono sempre di più.

Su DonatoriH24.it siamo stati i primi, lo scorso 16 aprile, a organizzare un dibattito in videoconferenza tra scienziati, medici e istituzioni per raccontare al pubblico le specificità di questa strada terapeutica e il primo protocollo attivo, che come sappiamo è quello portato avanti dagli ospedali lombardi di Pavia, Mantova e Lodi.

I risultati ufficiali di queste prime settimane di sperimentazione sono in dirittura d’arrivo, e dagli ambienti interessati arriva un certo ottimismo. È di venerdì primo maggio, per esempio, l’intervista del quotidiano La Provincia Pavese a Cesare Perotti, direttore del servizio di Immunoematologia dell’ospedale San Matteo. Perotti ha parlato anche di sicurezza, spiegando che i controlli sono di alto livello perché il sangue va testato, lavorato e trasformato prima di essere utilizzato per i malati Covid-19, eseguendo gli esami aggiuntivi che il Centro nazionale sangue ha predisposto per arrivare a ottenere un plasma di qualità farmaceutica. Perotti ha anche spiegato che finora i donatori convalescenti da cui è stato prelevato il plasma sono stati 125, da cui ottenere 600 ml di plasma ricco di anticorpi neutralizzanti il virus. Da ciascun prelievo si ottengono 2 dosi da 300 ml, che da protocollo vengono poi utilizzate secondo un programma che prevede un massimo di 3 somministrazioni a distanza di 48 ore l’una dall’altra, tutte inframezzate da un fitto monitoraggio clinico, in modo che le somministrazioni successive alla prima avvengano solo in caso di mancata risposta positiva.

Attraverso ogni donazione, insomma, è possibile curare 2 pazienti, e secondo le informazioni trasmesse da Perotti bastano 24-48 ore di terapie per notare con una certa costanza i primi progressi.

Esistono, insomma, le condizioni per essere ottimisti. Naturalmente, fino a quando non arriveranno i risultati ufficiali, è comprensibile l’atteggiamento piuttosto prudente delle istituzioni. E se Gianpietro Briola, presidente di Avis nazionale e coordinatore Civis sabato 2 maggio ha pubblicato una lettera sul sito di Avis per chiarire la posizione ufficiale dell’associazione – spiegando che donatori associati e Centro nazionale sangue seguono con grande attenzione le fasi sperimentali consapevoli che solo andando avanti si potranno riconoscere più in dettaglio eventuali benefici ed effetti collaterali – si fa sicuramente notare un certo disinteresse per la terapia da parte degli esperti “ufficiali” che collaborano con le istituzioni e beneficiano di uno spazio sempre più rilevante sui media.

Si va da una tendenza legittima a non rilasciare dichiarazioni e restare nell’attesa per non alimentare troppe speranze da parte dall’Istituto superiore della sanità, a dichiarazioni volte a ridimensionare, in parte, quello che sta accadendo grazie al protocollo lombardo. Ovvero ciò che ha fatto il solito Roberto Burioni su Medical Facts, in un video molto criticato dal professor De Donno primario a Mantova (Fig1), in cui il virologo mediatico per eccellenza si mostra scettico sulla portata numerica della terapia da plasma convalescente sul breve periodo, e ben più possibilista sugli effetti farmaceutici di medio periodo che gli studi sul plasma potranno generare, pur riconoscendo a pieno, tuttavia, il grande potenziale del plasma da convalescenti. Posizione che, sia pure con un’attenuazione dei toni, ha ribadito anche domenica sera a Che tempo che fa, ospite di Fabio Fazio.

Il dottor De Donno e la polemica con Burioni

Ciò che è importante è che questa terapia fino a oggi si è dimostrata quella più costante nel generare effetti positivi, tant’è che sta andando avanti in più regioni.

Abbiamo già parlato del caso toscano, in cui il nodo principale è la ricerca dei donatori, mentre a Novara la terapia sperimentale iniziata lo scorso 15 aprile sta già regalando i primi risultati promettenti.  Di qualche giorno fa, infine, la notizia che anche nel Lazio, a Frosinone, è attiva la sperimentazione con un programma volto a ottenere effetti positivi sui malati più gravi ospedalizzati in terapia intensiva.