Coronavirus: il plasma dei guariti è terapia di cura
A Pavia il progetto è pronto per essere applicato

2020-05-07T16:04:54+02:00 20 Marzo 2020|Attualità|
plasma-coronavirus-cura di Laura Ghiandoni

Il plasma con gli anticorpi dei pazienti guariti per curare il coronavirus. A Pavia, al Policlinico San Matteo, è pronto il progetto di cura che utilizza il plasma iperimmune per guarire i malati da coronavirus. Cesare Perotti, direttore del servizio immunotrasfusionale del policlinico, è impegnato direttamente nello sviluppo del progetto che, per essere applicato, attende solo il via libera dell’Istituto Superiore della Sanità.

In che cosa consiste questo metodo di cura pronto per essere messo in pratica nei malati di Sars-CoV-2?

“Il progetto che il nostro istituto sta avviando è la terapia a plasma iperimmune ottenuto da pazienti convalescenti da affezione da coronavirus. L’idea di utilizzare il plasma non è così nuova perché questo tipo di terapia è già stata utilizzata in passato per curare il virus dell’ebola nel 2014 e della Sars del 2002. La novità nel nostro caso consiste nell’applicazione al virus Covid-19, la quale, comporta delle conoscenze che non abbiamo rispetto al virus. Sappiamo però che, tutti coloro che sono guariti fino ad oggi, sono riusciti a creare una difesa immunitaria contro il virus. Quindi, con il plasma di chi guarisce, noi raccogliamo gli anticorpi che sono in grado di combattere l’infezione e quindi sfruttiamo la produzione di plasma dell’organismo dei soggetti convalescenti”.

Qual è il procedimento scientifico per realizzare la cura?

“Prima di tutto si raccoglie il plasma della persona guarita attraverso un separatore cellulare. Il separatore è lo strumento che divide la parte liquida del sangue, cioè il plasma, che contiene gli anticorpi, dalla parte cellulare, composta soprattutto dai globuli rossi. Poi lo si congela e lo si utilizza, tramite infusione, nei pazienti il cui sistema immunitario non è in grado di difendere l’organismo dal virus”.

In una situazione di pandemia, com’è quella di oggi in nord Italia, le quantità della cura, è un argomento che potrebbe essere primario per garantire a tutti una soluzione alla propria condizione di malattia da Sars-CoV-2. Qual è la misura della quantità di plasma che verrà infusa nei pazienti?

“La quantità è uno degli argomenti da affrontare nelle giornate del protocollo di studio. Non c’è un numero magico, ma dipenderà dall’esperienza che faremo sul campo durante il progetto. Le dimensioni fisiche del paziente, probabilmente, influenzeranno le quantità della cura. Un paziente di altezza e peso minore forse necessiterà di una quantità minore di infusione. All’incirca infonderemo tra i 300 e i 500 ml di plasma ricco di anticorpi, per ogni paziente”.

Come il policlinico San Matteo sta supportando la realizzazione del progetto?

La nostra struttura ospedaliera di Pavia fortunatamente è all’avanguardia, e grazie anche alla professionalità del virologo Fausto Baldanti, e di Raffaele Bruno, primario del reparto di malattie infettive del policlinico, abbiamo la possibilità di avere degli esami specifici realizzati da professionisti estremamente competenti nei laboratori di virologia. Possiamo testare in vitro l’efficacia del plasma prelevato dai pazienti guariti. Quindi, prendiamo una piccola quantità del plasma e facciamo una cultura di coronavirus. Vediamo come reagisce: verifichiamo se il sistema immunitario della persona guarita riesce ad abbatterlo”.

E in pratica? Come troverete i pazienti guariti e come scegliere le persone da curare per prime?

La catena organizzativa funziona bene, rintraccia i pazienti, li chiama e convoca. Poi predispone i test e li fa rientrare. Noi ci impegniamo a verificare sempre l’efficacia del plasma. Il Centro nazionale sangue ha già da tempo e con grande efficienza autorizzato la raccolta del plasma dei pazienti. Per quel che invece riguarda la scelta dei pazienti da curare per primi, il policlinico, per vocazione, non lascia indietro nessuno. Gli infettivologi hanno già considerato le categorie di pazienti che verranno curati per primi. Sono coloro che stanno peggiorando e che, se non fossero curati il prima possibile, andrebbero in rianimazione. Nella nostra professione non basta la scienza, serve l’umanità”.