“L’autosufficienza è un obiettivo ancora da centrare”
I pazienti talassemici raccontano la loro esperienza

2019-10-11T18:52:05+02:00 14 Ottobre 2019|Regole|
di Emiliano Magistri

“L’autosufficienza nazionale, a differenza dei documenti pubblicati, per noi pazienti è un obiettivo ancora da centrare. E va fatto il prima possibile”. Tony Saccà è il presidente dell’associazione United onlus (la Federazione nazionale delle associazioni di talassemia, drepanocitosi e anemie rare). È malato di talassemia e, grazie all’attività dei donatori e delle associazioni, può curarsi e, conseguentemente, può vivere.

La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Programma di autosufficienza nazionale del sangue e dei suoi prodotti, rappresenta per Saccà e per migliaia di altri pazienti la più importante garanzia alla luce della patologia da cui sono affetti e delle terapie a cui devono sottoporsi. Il documento, infatti, indica i consumi storici, i livelli di produzione necessari, le linee guida per la compensazione interregionale, nonché criteri e modalità che le singole regioni devono adottare per contribuire al raggiungimento dell’autosufficienza nazionale di emocomponenti e la produzione di farmaci plasmaderivati.

Tony Saccà durante una trasfusione di sangue al policlinico di Messina

“Il testo per noi è importante perché rappresenta, comunque, una garanzia – spiega a DonatoriH24 -. Ringraziamo tutti coloro che, con il proprio gesto volontario e non remunerato, ci offrono l’unica speranza di cura e di vita, ma ancora non basta”. Saccà spiega meglio i motivi: “L’obiettivo del Centro nazionale sangue e anche di noi pazienti è quello di arrivare all’autonomia regionale, ma non è stato ancora centrato. E le difficoltà che ciclicamente vengono registrate, in particolare in estate, lo dimostrano chiaramente non solo per le regolari attività ospedaliere, ma anche per le terapie da garantire”.

Saccà vive a Messina. Ha bisogno di due trasfusioni di sangue ogni due settimane, ma nei mesi scorsi le cose non sono andate come previsto: “Da fine giugno a inizi settembre ho potuto ricevere solo una trasfusione ogni 10-15 giorni e come me tanti altri pazienti. Gravi carenze non si sono registrate solo nella mia città, ma anche in provincia di Cosenza, fino ad alcune zone della Puglia – spiega -, per questo dico che l’autosufficienza, al di là di quanto venga scritto sulle carte ufficiali, non è ancora garantita”.

Ma cosa succede se si riduce la terapia? “Il primo effetto è il calo dell’emoglobina. Quando il valore va sotto il 9.8 o 9.5 è necessaria la trasfusione, altrimenti iniziano gli effetti collaterali che provocano forti dolori ossei e muscolari, nonché sofferenze d’organo, come ad esempio il cuore, che deve lavorare di più. Nel mio caso, ad esempio, i primi sintomi sono dolori a schiena, spalle e cervicale – prosegue -, avverto problemi alla mandibola e sono costretto a iniziare terapie antidolorifiche“. Tuttavia Saccà ci tiene e ribadire l’impegno che i pazienti, insieme ai volontari, svolgono per sensibilizzare l’opinione pubblica: “Noi ci mettiamo la faccia, sempre, per raccontare la nostra esperienza e aiutare le associazioni a fornire informazioni utili sulla malattia e sul perché sia così importante donare il sangue. Bisogna migliorare però. Occorre trovare nuovi donatori e accelerare in concreto quel ricambio generazionale che non sta ancora avvenendo: aziende ospedaliere e scuole devono essere i punti su cui battere per incrementare la comunicazione e diffondere la cultura della donazione”.

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