Donare il sangue, in particolare per chi lavora, può spesso generare problemi al momento di chiedere il permesso per assentarsi. Un ostacolo di fronte al quale, molti, preferiscono rinunciare per non incorrere in contrasti con il proprio datore. Ma cosa succede, a livello contributivo, se una donatrice o un donatore chiede un permesso? Proviamo a capire.
Chiariamo subito che le assenze per andare a donare sono riconosciute come giornate lavorative e sono quindi coperte sia da indennità Inps che dai contributi figurativi per la pensione (quei contributi, cioè, non versati né dal datore di lavoro né dal lavoratore che vengono accreditati dall’Inps sul conto assicurativo del lavoratore “per periodi in cui si è verificata una interruzione o una riduzione dell’attività lavorativa” e di conseguenza non c’è stato il versamento dei contributi obbligatori da parte del datore di lavoro). Queste giornate sono valide, per la contribuzione figurativa, soltanto se la donazione è avvenuta all’interno di un centro di raccolta autorizzato dal ministero della Salute, se la quantità di sangue raccolta è di almeno 250 grammi e se l’azienda ha chiesto e ottenuto dall’Inps il rimborso della retribuzione riconosciuta al dipendente per il giorno di assenza.
La contribuzione per le assenze dei donatori è accreditata in base alla dichiarazione dell’azienda o, se l’azienda non deve presentare la dichiarazione mensile di pagamento dei contributi, in base alla domanda del dipendente. Ovviamente è necessario allegare alla domanda il certificato rilasciato il giorno in cui è stata effettuata la donazione. Questo diritto alla contribuzione figurativa, e all’indennità per chi dona, è riconosciuto a tutti i lavoratori registrati all’Inps.