Una terapia innovativa che dia speranza concreta a quei malati oncologici che non rispondono alle terapie convenzionali. Si chiama Car-T (Chimeric Antigen Receptor T-cell) e consiste in una nuova tecnologia che consente di riprogrammare i linfociti T (le cellule del nostro sistema immunitario incaricate di sradicare le infezioni provocate dai microrganismi intracellulare e di attivare altre cellule compresi i linfociti B), così che combattano il tumore del sangue dall’interno.
Già approvata negli Stati Uniti, dove ha ottenuto risultati importanti sui pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta e linfoma diffuso a grandi cellule B, la Car-T viene somministrata in Italia in forma sperimentale. Entro agosto dovrebbe arrivare il via libera di Ema, l’Agenzia europea per i medicinali. Per capire meglio il funzionamento di questa terapia e gli eventuali rischi che potrebbe generare, DonatoriH24 ne ha parlato con il professor Paolo Corradini, direttore del dipartimento di Oncologia ed Ematologia dell’università di Milano, direttore della struttura di Ematologia Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, e presidente della Sie (la Società italiana di ematologia).
Professore, in cosa consiste il procedimento?
Si tratta di un prelievo di linfociti T che vengono programmati in laboratorio per essere messi in condizione di fare due cose nel momento in cui vengono iniettati nuovamente nel paziente: riconoscere una particolare sostanza presente sulla superficie delle cellule tumorali e trasmettere al linfocita il segnale per distruggerle. Sostanzialmente, attraverso un virus non patogeno, viene introdotto un gene nei linfociti T così da produrre il recettore Car, in grado di riconoscere la proteina sulla superficie delle cellule cancerose. A quel punto i linfociti, che sono stati potenziati, possono annientare il tumore.
Essendo una terapia piuttosto potente, può però comportare dei rischi
Uno di questi è sicuramente rappresentato dalla sindrome da rilascio di citochine (cioè molecole proteiche prodotte da una risposta immunitaria eccessiva dovuta all’introduzione dei linfociti T trattati in laboratorio, ndr). Le reazioni dell’organismo possono essere piuttosto forti, ma è ancora una terapia in fase di sperimentazione. Tuttavia ha avuto risultati considerevoli in particolare nei casi di leucemia linfoblastica acuta, la più diffusa in età pediatrica. Il tasso di mortalità è ancora tra il 5 e 7%, quindi al momento viene somministrata a quei pazienti che senza questo tipo di trattamento avrebbero poche possibilità di guarigione.