“Ecco perché donare mi ha salvato dalla leucemia”
Dalla provincia di Rovigo la storia di Enrica D’Andrea

2019-07-01T12:30:49+02:00 30 Giugno 2019|Personaggi|
di Emiliano Magistri

“Se non fossi stata una donatrice di sangue, oggi non sarei qui“. Sono le parole con cui, Enrica D’Andrea, esordisce raccontando la sua storia a DonatoriH24. Una storia che, ancora una volta, contribuisce a far capire quanto la scelta di donare il sangue sia, spesso, non solo un salvavita per tanti pazienti, ma anche per se stessi. Ma andiamo per ordine.

Partiamo dal momento più difficile. È il 1998 ed Enrica, originaria di Cortina d’Ampezzo, in provincia di Belluno, vorrebbe andare a donare il sangue come fa dal 1974 insieme ad Avis: “Mi rispondono che, a causa della mia pressione bassa e del fatto che eravamo a ridosso dell’estate, era meglio se mi fossi presentata a settembre – racconta -. E così feci”. Dopo le vacanze, al momento di ritirare le analisi che ciclicamente ripete chi dona il sangue, però, qualcosa non va: “Mi dicono che devo presentarmi all’ospedale di Ferrara per un possibile ricovero perché alcuni valori sono alterati”. Parte da sola perché il marito deve sostituire un collega al lavoro.

Enrica D’Andrea

Nella città estense ripete gli accertamenti di rito che danno la sentenza: leucemia mieloide acuta. “Sono entrata in ospedale il 23 settembre, sono tornata a casa il 5 dicembre. Ho effettuato il ciclo di chemioterapia a regime di ricovero – spiega – con pompe costantemente attaccate e, successivamente, una serie di trasfusioni di sangue per recuperare le sostanze perse. Da lì ho ripetuto i cicli altre quattro volte“.

Ha fatto avanti e indietro da Adria (in provincia di Rovigo, dove tuttora risiede) a Ferrara per circa 10 anni, con controlli medici costanti che, nel tempo, si sono dilatati fino a oggi, quando viene visitata una volta all’anno: “Se non fossi stata donatrice di sangue non avrei mai potuto raccontare questa storia – confessa Enrica -, senza dimenticare che vent’anni fa la ricerca e le terapie non erano al livello di oggi. Gli stessi medici che mi hanno sempre assistita me l’hanno detto. Mio figlio Giovanni, che all’epoca aveva 8 anni, mi ha dato la forza per affrontare e superare tutto questo”. Quello stesso Giovanni che, oggi, è iscritto all’Avis di Adria, oltre che al registro per i donatori di midollo.

Proprio alle nuove generazioni si rivolge Enrica ripensando alla sua storia: “Bisogna donare, prima di tutto perché si è costantemente monitorati, e poi perché tutto il bene che si fa ritorna indietro. Sempre”.