Un esame del sangue per individuare il “marchio” che fa capire chi è più a rischio di infarto. È il risultato di uno studio pilota, pubblicato sulla rivista Plos One, condotto dal rettore e direttore del laboratorio di Genetica Medica del policlinico di Tor Vergata di Roma, Giuseppe Novelli, e dal direttore della Cardiologia dell’università di Tor Vergata, Francesco Romeo.
I ricercatori hanno coinvolto nel test pazienti con malattia coronarica stabile (senza infarto) e pazienti con malattia coronarica instabile (con infarto) per identificare le varianti molecolari che funzionano come biomarcatori, cioè che permettono di individuare chi potrebbe andare incontro ad un evento acuto in un breve tempo. La ricerca ha permesso di identificare il comportamento anomalo di miR-423 (una delle piccole molecole endogene di Rna non codificanti a singolo filamento riscontrate nel trascrittoma di piante, animali e alcuni virus a Dna), che aveva livelli molto bassi nei pazienti con malattia coronarica subito dopo l’infarto, rispetto invece a chi era affetto da patologie coronariche stabili. Un risultato che, secondo i ricercatori, ha permesso di stabilire la sua espressione specifica e indicativa dell’evento acuto.
“Non è il primo biomarcatore dell’infarto finora identificato – spiega Novelli – ma è il più importante. Consente, infatti, di individuare, in un gruppo di soggetti, quelli a rischio più elevato e che necessitano di interventi terapeutici e preventivi immediati. Pertanto apre le porte alla medicina personalizzata o di precisione”. L’infarto del miocardio uccide ogni anno circa 70.000 persone in Italia ed è una delle principali cause di morte e disabilità. Quasi tutte le sindromi coronariche acute presentano coronaropatia sottostante e a causarla è un mix fra stili di vita ed ereditarietà.