Entro i prossimi dieci anni, in Italia ci saranno oltre 200mila donatori periodici in meno. È il quadro tracciato dal Cns (Centro nazionale sangue) che, a seguito dell’attenzione che, negli ultimi mesi, associazioni e istituzioni hanno rivolto alla raccolta del plasma, ha illustrato quella che, regione per regione, è la situazione legata alle quantità di sangue intero. Tutto nasce dall’episodio avvenuto a Carbonia dove, Enrico Forteloni, donatore sardo nato nel 1949, raccontava di dover interrompere la sua attività di volontario, appunto, per sopraggiunti limiti di età.
Ma qual è il rischio a cui va incontro il nostro Paese e il nostro sistema sangue a seguito dei dati forniti dal Cns? Cosa è possibile fare per prevenire, contenere o evitare, addirittura, questa possibile crisi? DonatoriH24 lo ha chiesto a Gianpietro Briola, presidente di Avis.
Presidente, è preoccupato dal quadro tracciato dal Cns?
Si tratta di un elemento da tenere sotto controllo, ma l’interruzione delle donazioni per limiti di età è una questione con la quale dobbiamo fare i conti ogni anno. Finora siamo sempre riusciti a contenere i periodi di difficoltà grazie a operazioni di turnover con i giovani, ma è chiaro che rischia di non bastare più.
Quali sono, per lei, le principali cause di questa possibile crisi?
Il vero problema è il calo demografico e poi le difficoltà nel trovare donatori sull’intero territorio nazionale. In molte zone c’è più partecipazione, mentre in altre, soprattutto nelle regioni meridionali, anche a causa delle massicce partenze di giovani che studiano fuori sede o che cercano lavoro, la ricerca è più difficoltosa. In più, gran parte di chi diventa donatore lo fa troppo tardi oppure, come ci comunicano i nostri stessi dirigenti locali, una volta compiuti i 18 anni, effettua la prima donazione e poi si allontana per motivi di studio o di lavoro, continuando, nel caso, a donare nella regione dove ha spostato la residenza.
Cosa ci attende e cosa si deve fare per contenere il calo?
Un periodo di crisi temo sia inevitabile. Coinvolgere i giovani è il primo punto su cui non soltanto Avis, ma anche tutte le altre associazioni, devono lavorare con serietà e programmazione. Il livello di attenzione sull’importanza della donazione va sempre tenuto alto: occorre capire che il sangue è un bene che, non potendo essere acquistato, deve essere per forza donato e può servire a chiunque di noi. In questo deve essere determinante la comunicazione.
In che modo?
Occorre reinventare completamente l’approccio con la società, in particolare con le nuove generazioni. L’utilizzo dei social network come strumento di informazione sull’attività che si svolge quotidianamente, è determinante: ormai non si può prescindere da questo mondo che, in un modo o nell’altro, ha rivoluzionato le strategie della comunicazione. Avis sta già cercando di riorganizzare e ammodernare tutte le proprie sedi e sta rivedendo anche l’organizzazione del lavoro all’interno delle singole realtà associative. La collaborazione deve essere più smart: occorre far capire ai giovani che si può lavorare lontano da schemi prefissati, si può fornire il proprio contributo anche da fuori le quattro mura di una sede, così da capire che ognuno può dare una mano perché l’associazione va incontro alle esigenze di tutti. E poi è necessario organizzare giornate straordinarie per la donazione, così da permettere a studenti o lavoratori precari maggiore facilità di accesso ai centri trasfusionali, con orari più elastici che prevedano accessi anche nel pomeriggio o durante i weekend.