Quali sono i tre pacchetti di auguri che Pierluigi Berti, presidente Simti (società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia) vorrebbe sotto l’albero di Natale ?
- Il pacchetto che aperto porti una più diffusa conoscenza della medicina trasfusionale.
- Il pacchetto che porti una rinnovata opera di reclutamento nei corsi di specializzazione così da far conoscere meglio ai giovani specializzandi la possibilità di essere un medico trasfusionista.
- Il pacchetto che, scartato, permetta alla medicina trasfusionale di diventare attraente per i giovani dottori, in modo che possano vedere in essa la possibilità di sviluppare una carriera e condizioni economiche interessanti.
Ha accettato di giocare un po’ con noi il professor Berti, usando l’immaginazione cara al Natale, ma la questione è davvero seria.
L’11 dicembre scorso Berti ha scritto una lunga lettera (link alla lettera) sul quotidiano salute elencando le gravi difficoltà in cui versa oggi il settore del servizio trasfusionale. Difficoltà che nel mondo del sangue sono note, ma che il presidente Simti ha voluto «far conoscere anche fuori dai nostri tavoli istituzionali», come spiega a DonatoriH24.
Da qui la molla per scrivere la lettera. «Giustamente», dice Berti, il Centro nazionale sangue «ha sottolineato che un sistema in grado di fotografare la realtà del mondo trasfusionale esiste ed è il Sistra (sistema informativo dei servizi trasfusionali) che dovrebbe portare un quadro aggiornato della situazione del personale in tutte le strutture trasfusionali del paese». Il fatto è, continua Berti, «che l’aggiornamento di quel sistema è di tipo annuale, e quindi non ce la fa a tenere sott’occhio tutto».
DESERTIFICAZIONE DELLA MEDICINA TRASFUSIONALE
Bisogna quindi «trovare delle possibilità concrete» per affrontare e risolvere il problema. La «desertificazione della medicina trasfusionale» significa che sempre più concorsi pubblici per medici trasfusionisti vanno deserti, che sempre meno medici trasfusionisti dirigono le strutture di riferimento e che non ci sono le risorse necessarie. Insomma, «diventerà sempre più difficile assicurare i livelli minimi di assistenza ai pazienti».
RISPOSTE CONCRETE
Da qui le tre speranze di Berti, che sono secondo lui le «tre possibilità concrete» per fare uscire questo mondo dall’impasse in cui si trova. Diffondere la conoscenza della medicina trasfusionale, è «un compito non solo del ministero della Salute, ma anche dell’Università. Sarebbe fondamentale che nel corso di studi di medicina si parlasse di più di questo settore. E bisognerebbe parlarne anche durante gli anni della specializzazione. Così facendo forse si incuriosirebbero di più i giovani medici, che però devono anche trovare la carriera del medico trasfusionista allettante».
Da qui il terzo punto «probabilmente il più importante»: permettere una progressione di carriera al medico trasfusionista. Oggi questi medici «non hanno prospettive allettanti, come ad esempio la direzione di un dipartimento, per non parlare del trattamento economico. Ma se quest’ultimo non può essere la battaglia di un’unica specializzazione, chiedere che si valorizzi una professione così importante è una richiesta lecita che deve ricevere risposte. La politica di ridimensionamento che si è fatta strada negli ultimi tempi non funziona, non si possono lasciare senza direzione realtà così importanti».