Donare fa bene
I numeri del Cns

2018-12-27T12:56:25+01:00 22 Dicembre 2018|Donazioni|

Nel 2017 un donatore su mille ha scoperto di avere un’infezione da virus dell’epatite B o C, HIV o Treponema pallidum attraverso le analisi che si fanno prima di donare il sangue. Sono i dati raccolti dal Centro Nazionale Sangue, che ha organizzato il 20 dicembre un convegno sul tema “La sorveglianza delle malattie trasmissibili: gestione degli esiti dei test di qualificazione biologica e del donatore non idoneo”.

LE MALATTIE VIRALI COLPISCONO ANCORA

L’incidenza delle patologie è riscontrabile soprattutto in donatori saltuari o nuovi donatori. Si tratta di dati «tutto sommato non preoccupanti, ma che dimostrano che le malattie virali sono ancora presenti», commenta con Donatorih24 il presidente Avis Gianpietro Briola.

Il numero di nuove di positività negli ultimi dieci anni, spiegano gli esperti del Cns, è sostanzialmente stabile. Nel 2017, le principali positività riscontrate tra quei quasi duemila donatori sono quelle per epatite B (751 su 1.778 donatori positivi) e per sifilide (642); molti meno sono risultati i donatori positivi all’HIV (96) e al virus dell’epatite C (315). Negli ultimi anni le positività per epatite B sono diminuite per l’arruolamento di nuovi donatori nati dopo il 1983, anno di introduzione del vaccino obbligatorio, mentre sono aumentate quelle da Treponema, una tendenza che segue anche quella della popolazione generale.

«Questi dati testimoniano l’efficacia del sistema di selezione, che è capace di ‘intercettare’ i potenziali donatori positivi. D’altronde da oltre un decennio non ci sono infezioni da questi agenti trasmesse attraverso le trasfusioni – spiega Giancarlo Liumbruno, Direttore Generale del Cns – Ci sono però alcuni aspetti che si possono migliorare nell’emovigilanza, soprattutto sotto il profilo dell’uniformità delle procedure usate nelle diverse regioni per la gestione dei risultati dei test e dei donatori positivi».

I QUESTIONARI, UNA SICUREZZA

«Si tratta di dati che dimostrano che la politica dei questionari, introdotta da un paio d’anni funziona», prosegue Briola. Il riferimento è a quei donatori che faticano a digerire il questionario che deve essere compilato al momento dell’ingresso al centro trasfusionale: domande su stili di vita, abitudini, terapie, ma anche comportamenti sessuali. Un’intrusione, secondo alcuni, che si lamentano del tempo in più che esso richiede per essere compilato prima della donazione. Ma «tutto sommato» un impegno «ragionevole» da prendere, «una garanzia, soprattutto per i pazienti», come sottolinea Briola.

E poi, aggiunge Vanda Pradal, di Avis della Marca trevigiana, «le domande sono ponderate. Se quelle sui comportamenti sessuali disturbano, non c’è nulla da temere, si tratta di informazioni riservate che restano tra donatore e medico nel massimo rispetto della privacy».