È iniziato il secondo atto del FidasLab. «La donazione del sangue – ha sottolineato il presidente Fidas, Aldo Ozino Caligaris – è un settore particolare, perché oltre a fare una promozione di solidarietà e di donazione, bisogna preparare le persone e formarle per quelli che sono dei percorsi relativi a comportamenti corretti, stili di vita, e modalità di acquisizione di nuovi donatori».
I laboratori per volontari della Fidas si pongono di dare ai propri associati gli strumenti fondamentali per affrontare al meglio la vita associativa e la sfida del cambiamento che si ha davanti. Il primo atto, che si è svolto dal 9 all’11 novembre, ha visto una numerosa partecipazione di giovani.
Quanto è importante avere volontari preparati e formati sulla donazione del sangue?
«È fondamentale. Nel corso delle nostre iniziative sui territori abbiamo spesso davanti persone che magari hanno delle resistenze, se non addirittura delle paure o dei pregiudizi sulla donazione. Per affrontare queste problematiche è indispensabile avere volontari responsabili, preparati e formati, che aiutino a comprendere la cultura del dono e della solidarietà. Ricordiamoci che il sangue non si fabbrica in laboratorio, non si recupera da un processo industriale, ma lo si ottiene attraverso una donazione volontaria, anonima e gratuita da una persona che dà qualcosa di sé per garantire una terapia trasfusionale».
In quest’ottica si è svolto dal 9 all’11 novembre il primo weekend FidasLab che viene replicato dal 23 al 25 novembre.
«Tutti gli anni organizziamo dei momenti formativi a livello nazionale proprio per dare queste opportunità alle persone responsabili delle federate. Quest’anno c’è stata una partecipazione molto numerosa, perciò abbiamo dovuto duplicare il corso. In pratica due corsi fotocopia, in due date distinte, per poter dare accesso a tutte queste persone che provengono dalle 74 federate di tutta Italia. Facciamo incontri frontali per dare la cornice dell’attualità del sistema trasfusionale e della gestione dell’attività associativa e del volontariato. Poi ogni partecipante ha l’opportunità di confrontarsi, riflettere e acquisire maggiori informazioni in gruppi di lavoro che costituiscono un momento di laboratorio, ecco perché il nome FidasLab, che abbiamo già lanciato lo scorso anno. Chi partecipa non è solo spettatore, ma è un partecipante attivo. Questi percorsi vanno dalla promozione all’utilizzo di programmi informatici piuttosto che alla comunicazione, ai social, agli uffici stampa».
Quali sono le principali criticità che può incontrare un volontario sui vari territori?
«Bisogna anzitutto interfacciarsi correttamente con le persone dei centri trasfusionali di riferimento, i responsabili del servizio, medici e infermieri. Poi serve una conoscenza adeguata della normativa di riferimento per essere sicuri che il percorso di tutela del donatore sia attuato come previsto dalle norme. Naturalmente il volontario può incontrare difficoltà nell’ambiente istituzionale per riuscire adaffrontare la promozione attraverso campagne di informazione con il Comune, il municipio o comunque con le realtà del territorio. Infine bisogna sapersi interfacciare con i cittadini, dando informazioni corrette. Non bisogna dare informazioni che sono di competenza del livello istituzionale, dal ministero della Salute al centro nazionale sangue o al centro regionale sangue. Bisogna dare quelle informazioni che sono necessarie e fondamentali per consentire a un donatore di avvicinarsi al gesto della donazione in maniera consapevole. La donazione non è solo disponibilità e solidarietà. Comporta la conoscenza di elementi fondamentali di tutela della propria salute, perché il donatore è persona che gode di buona salute e come tale deve rimanere. È l’unica persona che si avvicina al sistema sanitario nazionale che non ha bisogno di terapia, di cura o di assistenza sanitaria. E poi ovviamente come tutela del ricevente come qualità e sicurezza del dono e in particolare di standardizzazione di quanto viene donato, per garantire una terapia uniforme su tutto il territorio nazionale».
Parliamo di volontari, ma è attuale anche il dibattito sulle donazioni a pagamento. Cosa ne pensa?
«Noi siamo assolutamente contrari. Difendiamo come Italia, ma devo dire in buona compagnia con altri paesi come Spagna, Francia e Olanda, il principio della donazione volontaria non remunerata. Anzi stiamo attendendo per fine anno un documento del Consiglio d’Europa che demarcherà ulteriormente il principio della donazione non remunerata, specificando anche quelle modalità che in qualche modo possono essere identificate come remunerazione diretta. La medicina del sistema trasfusionale si deve basare su una donazione volontaria non remunerata. Nella direttiva europea sarà previsto però un auspicio della donazione volontaria, perché sappiamo che esistono altri paesi in Europa, come Germania, Austria e altri paesi dell’Est, dove la donazione, in particolare di plasma, è fatta a pagamento. Questo è totalmente contrario alla nostra politica. Come Fidas, insieme alle altre associazioni del coordinamento interassociativo dei volontari di sangue (Avis, Croce Rossa e Fratres), difendiamo questo principio perché riteniamo che il nostro sistema nazionale debba basarsi e fondarsi su una donazione che sia volontaria, anonima, responsabile e gratuita».