Sangue infetto, il libro dello scandalo

2018-08-31T13:40:45+02:00 31 Agosto 2018|Attualità|
di Tiziana Barrucci

Due anni di lungo lavoro, una pazienza certosina nel raccogliere il materiale reperibile, specialmente in lingua inglese, tenacia e molta voglia di verità. Sono gli ingredienti che hanno portato alla luce il libro “Sangue Infetto – una catastrofe sanitaria, un incredibile caso giudiziario“, scritto dal giornalista Michele De Lucia (nella foto di Lidia Giusto qui accanto), edito da Mimesis (25 euro, 470 pag, 2018).

Un libro che è un testo di riferimento per capire gli anni di quello scandalo “Mani pulite” che fa riaffiorare nomi noti, come l’allora direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del ministero della sanità Duilio Poggiolini e l’ex ministro Francesco de Lorenzo. E tanta sofferenza, la sofferenza di quelle decine di migliaia di persone nel mondo che a causa delle trasfusioni o di farmaci emoderivati si sono ammalate di Aids ed epatite C e sono morte o ancora convivono con quelle malattie.

Uno scandalo che affonda le sue radici negli anni 80 e si è trascinato per anni, tra inchieste della magistratura, processi, richieste di risarcimento presentate al ministero della Salute e speranze disattese. Uno scandalo che però presentava tanti aspetti poco chiari, come racconta lo stesso De Lucia, che abbiamo raggiunto nella sua abitazione romana.

Perché l’idea di un libro di questo tipo?

Ho iniziato a interessarmi a tutta la vicenda dieci anni fa. Mi contatta Andrea Spinetti del Comitato vittime sangue infetto che mi chiede aiuto perché non riescono a fare uscire la storia. All’epoca ero tesoriere dei Radicali italiani e avevo diverse rubriche su Radio radicale. Decido di aiutarli a organizzare qualche conferenza stampa, li metto in contatto con i parlamentari radicali e l’associazione Coscioni. Man mano che vado avanti e approfondisco, però, non mi torna il modo di raccontare questa storia. La strage degli innocenti in cui c’è un “cattivo perfetto” – le multinazionali del farmaco – che col silenzio dei governi era criminalmente passato sopra la pelle di decine di migliaia di persone. Una versione semplicistica, e in quei termini poco credibile. Inizio a studiare, e subito mi rendo conto che questa storia non può essere raccontata correttamente filtrandola con il senno di poi: se la affronti in modo retrospettivo, inevitabilmente la distorci. Se sai che un aereo è destinato a cadere, non ci sali.

INCHIESTE GIUDIZIARIE BASATE SU TEOREMI

E cosa scopre?

Che buona parte del materiale di quello scandalo era facilmente reperibile già nel 1995, grazie a uno studio patrocinato dal governo americano, ma nessuno lo aveva tirato fuori. Che quando, all’inizio dell’inchiesta giudiziaria, si è trattato di sbattere il “mostro” sulle prime pagine dei giornali, si sono fatti i titoli a nove colonne, ma quando poi i processi sono arrivati a sentenza e il presunto “mostro” è stato assolto – e non perché era difficile dimostrare il nesso causale, ma perché nei processi si dimostrava che il nesso causale non c’era! –  nulla si diceva, o al massimo si pubblicava un trafiletto che nessuno leggeva. E che per ricostruire correttamente il caso bisognava partire dagli Stati Uniti, perché all’epoca l’Italia era completamente dipendente dal plasma americano.

Il libro è una raccolta oggettiva di fatti e documenti da cui emerge una verità diversa da quella che ci è stata sempre raccontata. Quali i suoi passaggi davvero inediti?

Io ho voluto costruire un libro di fatti. È stata ribaltata la logica delle inchieste giudiziarie e l’hanno ribaltata i processi. E’ un fatto, per esempio, che il picco del contagio da Hiv si sia avuto tra il 1982 e il 1984. Si trattava di una malattia di cui non si sapeva nulla a parte il fatto che uccidesse chi ne veniva colpito. Il virus non era stato isolato, non esistevano i test per rilevarlo e non c’erano metodi di inattivazione virale. Il primo test messo sul mercato è del marzo 1985. Prima quindi non poteva essere inattivato un virus che non si conosceva. Per l’epatite C, che all’epoca era chiamata ancora “epatite non A e non B”, perché il virus che la provoca è stato scoperto solo nel 1990, il discorso è stato simile: si sapeva del virus, ma non si conosceva la sua aggressività nel tempo. Si fecero studi che mostravano che i pazienti anche dopo diversi anni non avevano conseguenze drammatiche e si decise di fronte a farmaci salvavita come gli emoderivati, di considerarlo un rischio accettabile al pari delle altre epatiti. Solo dopo si è scoperto che il virus dell’epatite C, il killer silenzioso, ha tempi molto lunghi, anche più di vent’anni, per mostrare i suoi effetti devastanti sull’uomo. Inoltre c’è una costatazione che nelle ricostruzioni giornalistiche italiane e nelle inchieste giudiziarie è sempre rimasta in secondo piano o completamente ignorata: nel 1982 Maurizio Pocchiari, direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, dichiarava che in Italia per gli emoderivati dipendevamo interamente dagli Usa, non avevamo né regole, né produzione e ci dovevamo affidare alla Food and drug administration.

Dove i donatori erano retribuiti…

Un dilemma che è stato affrontato soprattutto in maniera ideologica: un grande sbaglio che ha creato danni. Se sai qual è l’ospite indesiderato che devi cercare e annientare nel sangue e nel plasma lo puoi cercare e eliminare sia se il donatore è a pagamento che se è gratuito. Con le conoscenze scientifiche che abbiamo oggi, si potrebbe prendere sangue anche da persone disagiate. Il rischio di infezione è nullo, al massimo ciò che si rischia è che il prodotto che ne viene ricavato sia di bassa qualità, poco efficace. In passato, lì dove si faceva l’equazione sangue gratuito uguale sangue sicuro, le epidemie si sono diffuse esattamente come nei paesi dove erano ammessi i donatori a pagamento. Pensate alla Francia, dove i donatori volontari erano venerati: è stato uno dei Paesi dove c’è stato il più alto contagio di Hiv. Ciò detto, le associazioni di volontari sono una ricchezza immensa e svolgono un ruolo fondamentale e insostituibile che consente ogni giorno di salvare la vita a moltissime persone. La loro è un’opera di altissimo valore civile che va sostenuta sempre di più.

LA “SEPARAZIONE DELLE CARRIERE” TRA SANGUE E PLASMA

La questione sangue a pagamento o sangue gratuito sta dividendo gli operatori del settore soprattutto se si parla di plasma. Che ne pensa?

E’ qui veniamo a un’ipocrisia di fondo, a cui non si è mai sottratta nemmeno l’OMS, che denuncio lungo tutto il libro. L’autosufficienza del sangue, dopo decenni, è stata faticosamente raggiunta ma per il plasma si tratta di un obiettivo ancora lontanissimo. Quella che io ho chiamato la “separazione delle carriere” tra sangue e plasma nasce dal fatto che l’industria non ha visto il sangue come un prodotto interessante mentre il plasma sì. La ragione è squisitamente tecnica: il sangue intero si può conservare per poco tempo, il plasma lo puoi surgelare e conservare anche a lungo e si presta alla produzione industriale. Inoltre il sangue intero lo puoi donare una volta ogni tre mesi, mentre il plasma si ottiene con una tecnica diversa, la plasmaferesi, che negli Usa si fa anche due volte a settimana. E poi c’è un fattore, la plasmaferesi prende molto tempo: oggi meno, ma all’epoca anche due ore e mezzo. Chi si poteva permettere di farlo gratis? Per garantire il fabbisogno necessario alla produzione di emoderivati dovresti avere una base di donatori gigantesca. Ci si può e ci si deve lavorare, ma è davvero difficile. Per questo mentre per il sangue intero, grazie alle associazioni di donatori volontari si è alla fine raggiunta l’autosufficienza, il plasma, e quindi l’industria che ne è derivata, dipende dai donatori a pagamento. Si tratta di essere pragmatici e di guardare in faccia la realtà. Tra l’altro oggi le associazioni hanno posizioni molto più avanzate e “laiche” di un tempo.

Che ruolo ha avuto lo Stato in questa tragedia?

Lo Stato italiano ha giocato e ancora gioca a nascondino con se stesso e ha cercato sin dall’inizio di non assumersi le sue responsabilità. Il processo mediatico di metà anni Novanta ha fatto comodo a una certa politica che ne ha approfittato per giocare allo scaricabarile e lavarsene le mani. Ma i produttori non potevano essere considerati responsabili di ignorare l’esistenza di virus fino ad allora sconosciuti. Dalle carte processuali risulta che gli stessi Poggiolini e De Lorenzo erano corrotti, sì, ma non assassini: hanno preso le stesse decisioni adottate negli altri paesi. Per vent’anni hanno raccontato alle vittime che uno scienziato, Edward Shanbrom, avrebbe messo a punto già negli anni Settanta un metodo di inattivazione virale che avrebbe evitato la tragedia, ma negli anni Settanta i virus dell’Aids e dell’epatite C ancora non si conoscevano! Inoltre si diceva che avrebbe fatto il giro delle farmaceutiche che però non l’hanno ascoltato. Ma se fosse esistito davvero un metodo del genere le farmaceutiche non si sarebbero precipitate ad adottarlo per rendere i loro prodotti sicuri e quindi più competitivi rispetto alla concorrenza?

E quindi?

Il fatto è che non era vero: ho fatto una ricerca approfondita nell’archivio dei brevetti. Il brevetto di Shanbrom era del 1982 e non degli anni Settanta ed era stato rifiutato dalle farmaceutiche per un motivo molto semplice: distruggeva il 90 per cento del principio attivo.  Quindi quei medicinali sarebbero diventati acqua fresca. Inoltre le sostanze che annientavano il virus erano cancerogene e pericolose per la salute. Altri due scienziati americani, riprendendo e sviluppando gli studi anche di Shanbrom hanno poi messo a punto il metodo di inattivazione virale e sono arrivati alla soluzione ottimale qualche anno dopo.

A MOLTI SERVIVA UN CAPRO ESPIATORIO 

Il suo libro restituisce giustizia ad alcuni personaggi oggetto per anni della gogna mediatica post Tangentopoli, come ad esempio la famiglia Marcucci, costretta a rinunciare anche a una fetta del suo business e poi riconosciuta innocente. Ha avuto qualche riscontro dopo la pubblicazione?

No, nessuno mi ha contattato, e nemmeno ci ho pensato: la mia urgenza era raccontare alle vittime i fatti. È anche una questione di deontologia giornalistica: per me il giornalista deve portare alla luce la verità, anche correndo, eventualmente, il rischio di essere impopolare per non essere antipopolare. Evidentemente all’epoca avere i Marcucci come capri espiatori ha fatto comodo a molti. E molti altri sono stati superficiali o si sono girati dall’altra parte, ma in questo modo si sono prese in giro le vittime: perché  nel 1985 la quota del Gruppo Marcucci nel mercato italiano era inferiore al 7 per cento; la Sclavo è stata acquisita solo nel 1990, fino ad allora era dell’Eni. L’Italia dipendeva totalmente dal plasma importato dagli Usa e infine, dopo il 1987, non ci sono epidemie da emoconcentrati. Eppure qualcuno ancora fa finta che gli atti processuali e le sentenze di assoluzione non esistano.

E invece dalle vittime? 

Prima di consegnarlo all’editore, ho voluto rileggere il libro con Andrea Spinetti per capire come sarebbe potuto arrivare alle vittime di questa tragedia. Andrea mi ha detto che ho scritto il libro che avrebbe voluto scrivere lui, e ci siamo commossi tutti e due.

Non sente di aver tolto loro qualcosa?

Assolutamente no, semmai è il contrario. Lo ripeto, il mio libro presenta fatti, non teoremi e non fa sconti a nessuno. Marco Pannella negli ultimi anni della sua vita parlava di “diritto umano alla conoscenza” io ho voluto lavorare seguendo proprio quel principio. Spero davvero che il libro possa contribuire a rompere il silenzio su un fronte ancora aperto: la battaglia delle vittime per ottenere indennizzi, risarcimenti e assistenza da uno Stato vigliacco che ha giocato persino sulle prescrizioni per non pagare. Come si può giocare sulle prescrizioni per non risarcire chi ha sofferto e soffre così?

UNO STATO CHE GIOCA A NASCONDINO CON SE STESSO

Cosa dovrebbe fare lo Stato?

Fermo restando che laddove c’è stata incuria o inosservanza di norme e procedure e la macchina della sanità pubblica ne è stata prodiga, i responsabili vanno perseguiti, sono convinto che lo Stato avrebbe dovuto prevedere e attivare un vero e proprio welfare ad hoc per le vittime: se hai preso l’epatite C con una trasfusione negli anni Settanta, quando il virus dell’epatite C non si conosceva, non puoi essere abbandonato al tuo destino solo perché ti sei trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Credo che le vittime avessero il diritto di conoscere la verità. Il fatto che per anni sia stato detto loro “questa tragedia si poteva evitare ma nulla è stato fatto per evitarla” non solo è un falso storico, ma è stato un modo per colpirle una seconda volta.

C’è qualcos’altro che direbbe direttamente alle vittime, oggi, dopo la pubblicazione?

Bisogna sempre studiare e approfondire personalmente ogni cosa, non bisogna fidarsi delle pappe pronte, chiunque te le offra. Tante informazioni potevano essere tirate fuori già molti anni fa.

Oggi di fronte ad uno scandalo simile, si svilupperebbero dinamiche uguali? Come si dovrebbe gestire un evento simile?

Oggi, con internet e con la  superficialità con cui alcune materie vengono trattate sarebbe possibilissimo che si creassero gli stessi meccanismi, forse persino più perversi. Il primo antidoto è la circolazione delle informazioni con la massima trasparenza e la condivisione delle decisioni, nel senso di spiegare sempre su quali basi e per quali ragioni ci si arriva. Bisogna poi attenersi ai fatti: la scienza ha delle regole, segue dei criteri, delle procedure di validazione. Atteniamoci ai principi scientifici quando parliamo di scienza, le religioni sono altro. Pensate a tutte le cose infondate che vengono dette sui vaccini, prescindendo dai dati.

C’è qualcuno che l’ha sostenuta in maniera particolare nella scrittura del volume?

Sono grato alla casa editrice che non mi ha chiesto di modificare neanche una riga, non mi ha chiesto di tagliare nulla ed ha accettato di pubblicare un libro così ricco. Sono grato a Fernando Aiuti, al quale timidamente ho chiesto di scrivere la prefazione e che con mia grande sorpresa qualche giorno dopo non solo mi ha mandato le cartelle della prefazione, che mi ha detto davvero sentita, ma mi ha anche spedito una serie di osservazioni e informazioni scientifiche molto puntuali. Indicazioni che sono state fondamentali nella stesura dell’ultima versione.

Lei è un donatore di sangue o plasma?

No, o meglio non ancora. Prima del lungo percorso che mi ha portato a scrivere il libro, questo mondo mi era davvero estraneo. Ora vedo tutto con occhi nuovi, ho sviluppato un’altra sensibilità e ho capito quanto sia importante che ognuno di noi faccia la sua parte.