Nuove prospettive per la cura della leucemia più comune nell’adulto, la leucemia linfocitica cronica. Uno studio clinico pilota su 26 pazienti gravi, l’anticorpo cirmtuzumab si è dimostrato capace di bloccare la crescita del tumore ematico. Lo studio è stato condotto dagli specialisti della University of California San Diego School of Medicine e pubblicato sulla rivista Cell Stem Cell. Secondo gli studiosi, la molecola cirmtuzumab colpisce le staminali del tumore e ne ferma la crescita. Si tratta quindi di un farmaco potenzialmente importante per eliminare questa e altre neoplasie, spiegano gli esperti, in ragione del fatto che oggi si ritiene che molti dei fallimenti terapeutici in oncologia siano proprio dovuti alla presenza delle staminali del cancro responsabili di recidive e metastasi.
IL CECCHINO DELLA MOLECOLA RORI
L’anticorpo cirmtuzumab colpisce selettivamente le cellule che espongono una molecola – Rori – che normalmente serve durante lo sviluppo intrauterino ma che negli individui sani è assente. In caso di tumore le cellule malate e le staminali che riproducono il tumore espongono erroneamente Rori che ha quindi un ruolo importante nella crescita della neoplasia. «In questo trial, abbiamo trattato 26 pazienti con recidiva con dosi crescenti di cirmtuzumab, e abbiamo visto che il farmaco è eccezionalmente ben tollerato. Inoltre un ciclo breve di terapia ha mostrato di poter fermare la progressione della malattia consentendo alla maggior parte dei pazienti di fare a meno di ogni altra terapia per otto mesi – ha affermato il coordinatore della sperimentazione Michael Choi – Si tratta di un risultato notevole visto che i pazienti coinvolti erano in fase avanzata di malattia».
IL PARERE DELL’EMATOLOGO
Cauto il professor Robin Foà ematologo di fama mondiale, capo del dipartimento di Ematologia della Sapienza Università di Roma. «Per la leucemia linfocitica cronica ci sono molti farmaci innovativi già in uso clinico e approvati e molto ha da venire. Qui sono riportati i primi dati di uno studio di fase 1 per pazienti con malattia avanzata (refrattari/resistente) in cui si è documentata la fattibilità e sicurezza, in termini di tollerabilità, di questa nuova molecola. Mi sembra troppo presto per parlare di impatto sulla malattia. Ci vorrà tempo».