Centri trasfusionali e Asl: una convivenza difficile
Il caso Amatrice e il caso Sarzana

2018-06-11T14:47:26+02:00 10 Giugno 2018|Attualità|

«Scriviamo a malincuore questa lettera per comunicare ufficialmente l’annullamento della raccolta sangue prevista ad Amatrice per venerdì 1 giugno». Inizia così la lettera scritta dal presidente dell’Avis comunale di Amatrice, Francesco di Marco che DonatoriH24 ha pubblicato il 31 maggio. Una lettera allarmata, che punta il dito contro quelle che Di Marco definisce un servizio trasfusionale caratterizzato da «incapacità e atteggiamenti ostativi» che sostanzialmente avrebbero impedito il rispetto della calendarizzazione annuale delle donazioni fissata dall’Avis.

Una situazione complessa che ha causato, dichiara Di Marco a DonatoriH24, «serie difficoltà nella gestione delle attività di donazione tanto da far saltare una data, e chissà se anche altre future». Una situazione che, seppur con peculiarità diverse legate al territorio, non è però isolata nel quadro nazionale del sistema sangue, almeno di questi giorni: è infatti di 24 ore fa l’allarme lanciato dal sindacato NurSid (sindacato delle professioni infermieristiche) a Sarzana, in provincia della Spezia, dove a garantire l’attività dell’ambulatorio per i prelievi all’ospedale San Bartolomeo, è rimasto un solo  infermiere, distaccato dall’ospedale di La Spezia. Troppo poco per fare fronte a tutte le attività dell’ambulatorio così che i donatori rischiano di subire situazioni di disagio dovute al ritardo con cui potranno effettuare il loro gesto di solidarietà.

Ma procediamo con ordine, e approfondiamo le due situazioni di crisi.

Il caso Amatrice

In risposta alle dure accuse del presidente Di Marco da Amatrice, la direzione aziendale della Asl di Rieti risponde secca che ha sempre sostenuto l’Avis nelle raccolte. E aggiunge in un comunicato:  «La raccolta del sangue oggi è possibile soltanto nei Punti di Raccolta (PdR) autorizzati dalla Regione. Tali PdR possono essere gestiti dalla Asl oppure direttamente dalle associazioni di donatori volontari. E su questa base che la direzione aziendale della Asl di Rieti, già da tempo, si è occupata di strutturare le attività di raccolta del sangue». In sostanza, spiegano a DonatoriH24 fonti interne alla Asl, la Asl stessa ha chiesto già da un anno al presidente Avis provinciale di Rieti, Giuseppe Zelli di costituire, come previsto dalla normativa attuale, l’Unità di raccolta associativa nella quale far confluire i PdR delle varie Avis Comunali della provincia di Rieti, un modo da risolvere a monte i lamentati problemi. Evidentemente ci sono problemi di organizzazione. Noi comunque facciamo il nostro lavoro e lo facciamo bene.

«Tutti conoscete la realtà difficile di Amatrice – spiega Zelli a DonatoriH24 – le procedure richieste per l’accreditamento non sono facili: ad esempio si richiedono determinati requisiti alla sede che, crollata dopo il terremoto, abbiamo dovuto spostare, e che attualmente quei requisiti non ha. Ci stiamo però lavorando, come stiamo lavorando alla formazione del personale che dovrebbe occuparsi delle raccolte in modo da raggiungere 10 uscite al mese. Ma se non riesce bene ad organizzarsi un’azienda come la Asl può immaginare come possa essere difficile per noi?» Insomma, conclude Zelli, «vogliamo essere traghettati verso la costituzione dell’UDR (unità di raccolta, ndr) ma non vogliamo imposizioni, perché ci vuole tempo per reperire e formare personale idoneo. Voglio però ricordare che il 90% della raccolta sangue in provincia è fatta dall’Avis».

Ma le difficoltà non si fermano qui, dice Di Marco, che ricorda come l’Avis Amatrice sia in possesso di un’automoteca, inutilizzabile. «Acquistata con 150mila euro provenienti da donazioni private, l’abbiamo inaugurata il 30 aprile del 2017 – spiega Di Marco – ma da allora non l’abbiamo potuta usare perché la Asl ci dice che per accreditarla ne dobbiamo cedere il possesso e ovviamente non intendiamo farlo».

Il caso Sarzana

Le difficoltà di Amatrice trovano un caso parallelo in Liguria, dove si tenta di scongiurare il peggio. La storia è presto detta: fino a qualche tempo fa il centro trasfusionale di Sarzana (La Spezia) contava tre infermieri, due della pianta organica dell’ospedale locale e uno in prestito dalla Spezia. I due infermieri sarzanesi non ci sono più perché uno è andato in pensione e l’altro è malato con una previsione di assenza molto lunga.

Un problema serio, spiega a DonatoriH24 Assunta Chiocca, infermiera spezzina e segretario territoriale NurSind: «Con un solo paramedico e per di più in distacco non è possibile garantire l’assistenza a tutti i donatori, soprattutto quelli occasionali che si rivolgono a Sarzana. Il problema è serio ma dalla Asl non abbiamo ricevuto risposte anche se abbiamo sollecitato tante volte la soluzione».

La preoccupazione della sindacalista è quella che il servizio sarzanese potrebbe funzionare a singhiozzo con la conseguenza che i donatori potrebbero subire forti disagi. «C’è il rischio che il Centro trasfusionale sia senza infermiere e non apra – aggiunge Chiocca – oppure che gli inevitabili ritardi si ripercuotano sui donatori. Qualcuno di loro si potrebbe scoraggiare per le attese e potremmo perdere delle donazioni. Il nostro allarme è più che giustificato perché così si mette a rischio la normale attività operatoria. Stiamo andando incontro all’estate quando normalmente si abbassa la quantità di donazioni, non bisogna sprecare nemmeno un’occasione per raccogliere sangue».

Per l’infermiera dell’ospedale Sant’Andrea di La Spezia, è grave che la situazione del personale del servizio trasfusionale di Sarzana sia così penalizzato perché «dispone di grandi potenzialità e  basterebbe assegnare al servizio almeno un’altra unità di personale infermieristico che garantirebbe la possibilità di effettuare donazioni in contemporanea e in sicurezza».

Disagi, quelli di Amatrice come quelli di La Spezia, che nascono da disorganizzazione, ma anche da un difficile rapporto tra le Regioni e le loro Asl, da un lato, e i centri trasfusionali dall’altro. Se le prime sono caratterizzate da gestioni aziendalistiche per di più con peculiarità territoriali, i secondi devono rispondere alla necessità dell’autosufficienza ematica, un bisogno per definizione nazionale.

Chiaro quindi che il sistema trasfusionale possa confliggere con le dinamiche aziendalistiche ed economicistiche del contesto che lo circonda. Come del resto ha spiegato qualche settimana fa in un’intervista a DonatoriH24 Pierluigi Berti, presidente della Società italiana di medicina trasfusionale e immunoematologia (Simti) che parla di «un contesto complicato».