Tra le ragioni della scarsa propensione a donare si adducono spesso la poca o imprecisa informazione sul tema, il timore per la propria integrità fisica, ma soprattutto l’assenza di accattivanti campagne di sensibilizzazione. Tante ottime spiegazioni che tuttavia non mutano la realtà di un dato allarmante: negli ultimi anni la fascia di donatori italiani tra i 18 e i 35 anni si è ridotta al punto che – secondo le stime – entro il 2020 potrebbe incidere con un pesante -4,5 per cento sul numero complessivo di volontari nel nostro paese.
L’allarme è stato lanciato da più di un’autorevole voce nei mesi passati, ma è da tempo oggetto di dibattito. A pesare, come è noto, è il progressivo invecchiamento della popolazione, che in tempi recenti ha progressivamente portato la fascia di donatori tra i 45 e i 60 anni a rappresentare la vera spina dorsale dell’intero sistema dell’approvvigionamento di sangue nel nostro paese.
Le motivazioni di carattere demografico, tuttavia, non paiono sufficienti a giustificare una flessione così drastica, che se nel breve termine non costituisce una concreta minaccia all’autosufficienza ematica in Italia, spalanca sicuramente prospettive piuttosto fosche riguardo al futuro della donazione di sangue ed emocomponenti per gli anni a venire.
L’emergenza spiegata dai ragazzi
Prevenire, si sa, è meglio che curare, e al fine di spingersi oltre mere considerazioni di sociologia spicciola, diversi importanti istituti universitari e di ricerca statistica hanno provato a meglio inquadrare il fenomeno attraverso studi di carattere sociopsicologico e medico, che hanno coinvolto centinaia di adolescenti e giovani in piena età lavorativa.
Tra questi, un’ indagine Censis-Fidas su base nazionale, un approfondito studio operato da Policlinico Mangiagalli di Milano e Avis Medio-Varesotto sugli adolescenti lombardi e il ciclo di focus group “Le ragioni di chi non dona”, condotto dai ricercatori universitari Turrini, Lorenzet e Pravatà.
I risultati emersi hanno evidenziato per la prima volta prospettive del tutto inedite riguardo al rapporto tra le nuove generazioni di italiani e il mondo della donazione. Nell’impossibilità di dare conto di tutta l’immensa mole di dati raccolti, vale la pena di concentrarsi sui dati più significativi.
Perché io non dono
Gli adolescenti intervistati dall’Istituto Mangiagalli hanno indicato quali principali ragioni della disaffezione al dono del sangue la non dettagliata informazione sul “come” essa precisamente avvenga e sulle eventuali conseguenze per la salute – a partire dalla paura degli aghi, fino al rischio di svenimenti e di contagio – e l’assenza di moderne e accattivanti campagne di sensibilizzazione, capaci di farsi largo nel sovraccarico e abbagliante mondo della comunicazione digitale, risvegliandoli da una certa dichiarata “pigrizia”, dalla quale solo grandi emergenze nazionali (i recenti terremoti del Centro Italia, gli attacchi terroristici) sembrano essere riuscite a scuoterli.
Indicazioni aggiuntive sono pervenute dallo studio “Turrini-Lorenzet-Pravatà”, da cui è emerso tra le ragioni del non dono, una certa impersonalità delle sedi e del trattamento ricevuto durante i prelievi, l’eco dei recenti scandali legati al sangue infetto, ma soprattutto la mancanza di una dimensione “sociale” della donazione, che per molti giovani dovrebbe essere accompagnata da attività di gruppo, che siano ludiche, di intrattenimento o di pura socializzazione.
Un nuovo marketing del dono di sé
Occorrono, in altre parole, nuove e più moderne strategie di Marketing del dono di sé. Sul come realizzarle e sulle priorità da seguire, sono gli stessi giovani intervistati da Censis-Fidas a fornire preziose indicazioni.
Più frequenti e coinvolgenti attività nelle scuole (notoriamente i primi agenti formativi accanto a famiglia e contatti personali); piccoli riconoscimenti simbolici per i volontari (dai crediti scolastici fino a gadget e spuntini), ma soprattutto attività di promozione in occasione di eventi sportivi, culturali e musicali, e la presenza nelle campagne di sensibilizzazione di testimonial del mondo dello spettacolo e dello sport, quali modelli da imitare nel loro slancio di solidarietà.
Nuovi donatori crescono
A giudicare dalle risposte c’è da essere ottimisti. Nuove generazioni di italiani si dicono pronte all’idea di donare. Basta solo invitarle, parlando il loro linguaggio. Quello dei media digitali, del bisogno di nuovi simboli in cui riconoscersi, e di una dimensione ludica e sociale del dono, sempre più necessaria in un mondo in cui il solitario rinchiudersi dentro uno smartphone è oggettivamente più comodo e meno impegnativo del dialogare e guardare negli occhi una persona in carne e ossa.