Giornata mondiale del donatore
L’esercito silenzioso che salva vite umane

2020-06-15T17:25:09+02:00 13 Giugno 2020|Donazioni|
di Giancarlo Liviano D'Arcangelo

Un giorno importante il 14 giugno, che celebra un gesto, quello del dono, e una figura, quella del donatore di sangue, che rappresentano una fonte di bellezza e solidarietà universale in un tempo difficile come il nostro. La Giornata mondiale del donatore non è tuttavia solo una celebrazione di un atto di unione ideale e fisica tra chi dona e chi riceve quella materia biologica spesso importante per salvare vite umane, ma è anche occasione di approfondimento, per capire quanta organizzazione e quanto impegno servono per permettere al sistema trasfusionale di un grande paese come l’Italia, di funzionare al massimo grado di efficienza e sicurezza, e in tutte le condizioni, dalle più normali fino alle pandemie.

Per entrare sempre più profondamente nel mondo del dono e dei donatori, abbiamo intervistato Carlo Assi, Consigliere nazionale e Presidente Avis Cernusco, una figura in grado di incarnare e descrivere tutta la filiera del dono e l’arco d’azione associativo. A lui abbiamo chiesto di raccontarci il dono del sangue in tutte le sue sfaccettature.

Carlo Assi, il 14 giugno è la giornata mondiale del donatore di sangue. Nel 2004 l’Oms ha fissato questa data che vale come una celebrazione internazionale di un gesto chiave. Cos’è il dono del sangue per un donatore periodico che lavora attivamente sulla promulgazione dei valori del dono?

Essere donatori periodici, in forma associata, è parte della propria identità, è uno delle forme che le persone scelgono per vivere una cittadinanza attiva. Anche senza formazione specialistica in campo sanitario, ogni donatore sa che il suo sangue o il suo plasma sono indispensabili per curare e salvare, e questa è la molla che lo spinge. Spesso il donatore ha appreso di questa possibilità in ambito famigliare o è cresciuto in contesti dove la presenza associativa è visibile, forte, radicata. La presenza delle associazioni del dono crea coesione sociale. E, non dimentichiamo, contribuisce in maniera rilevante agli scopi del sistema sanitario.

La nuova campagna nazionale di Avis si chiama “Fil Rouge”, in rappresentanza del legame tra donatore e paziente. Cosa significa questo legame?

“Fil rouge” è il nome AVIS per riunire sotto un unico nome i tantissimi eventi legati alla Giornata Mondiale 2020. Un filo rosso che esprime coesione e sinergia di persone, organizzazioni non profit e istituzioni che lavorano insieme per conseguire il raggiungimento dell’autosufficienza di sangue ed emoderivati. Come dicevo prima, la donazione, anche se si compie singolarmente e in anonimato nei confronti del ricevente, non è un comportamento privato, è una azione sociale, un atto civico. Non è un caso che, almeno su questo, i rappresentanti istituzionali di vari orientamenti riconoscano il valore sussidiario dell’azione dei volontari.

Il percorso associativo per un donatore è qualcosa che può durare veramente gran parte della vita. C’è mai un momento in cui l’impegno si fa sentire e viene voglia di smettere?

La storie delle persone sono diverse, ognuno ha il suo percorso e ciascuno merita rispetto. Oggi più di un tempo le persone si avvicinano alla donazione in fasi diverse della vita, e possono attraversare momenti di maggiore o minore dedizione. Le faccio due esempi che mi hanno molto rinfrancato: da anni nell’Avis comunale di cui sono presidente l’adesione avviene mediante un form online e la promozione sui social media. E tuttavia il contatto personale è immediato, con il messaggio su smartphone e le chiamate di accompagnamento alla visita e di convocazione alla donazione periodica.

Carlo Assi in sede a Cernusco

È bello vedere quando il lavoro sul campo porta risultati?

Più di una volta mi è capitato di vedere adesioni inviate a pochi minuti di distanza, dallo stesso indirizzo di abitazione. Nuovi donatori dalle stesse famiglie: ho in mente due o tre casi in cui la figlia ha portato con sé la mamma, a volte ex donatrice e a volte no. Un altro momento in cui abbiamo materialmente visto centinaia di persone tornare ad una donazione più frequente o chiedere di diventare donatori sono state le settimane di maggiore violenza della pandemia: una spinta solo parzialmente emotiva, tanto che gli stessi donatori hanno accettato con disciplina il nuovo regime di prenotazione e distanziamento. Come in tutte le vicende e le relazioni della vita, comunque, a volte ci si avvicina, altre ci si allontana. A chi termina di donare, o sospende, non facciamo mancare il grazie che non è tanto nostro, quanto dei malati curati o salvati dalle trasfusioni o dai farmaci emoderivati prodotti con anni di donazioni. E, certo, a chi torna attivo diamo il più caloroso dei benvenuti

In tutte le attività che si basano sulla trasmissione dei valori, inevitabilmente emergono delle figure di riferimento importanti e io so che in questo caso la figura è quella di Pietro Varasi, che è stato un dirigente Avis storico molto amato. In che modo il suo esempio vale ancora oggi?

Guardi, Pietro è una di quelle figure che illuminano la vita di chi le incontra. Agli avisini, che lo conoscono non ho bisogno di ricordare, e a chi invece non lo ha incontrato vorrei avere la capacità di far almeno intuire che splendida persona sia. Noterà che ho usato il tempo presente. So che Pietro ci ha lasciato, ma per noi la sua testimonianza e il suo esempio sono presenti. L’ultima Avis comunale di cui ha fatto parte è Avis Cernusco, è l’ultimo titolo avisino di cui si è fregiato è quello di nostro presidente onorario. Titolo che “in memoriam”, Pietro ha ancora. Pioniere della comunicazione quando questo strumento sembrava accessorio a molti, e che Pietro vide strategico come ormai tutti riconosciamo. Capace di dare spazio e strumenti ai giovani per portare idee nuove. Cultore e conoscitore della storia avisina senza essere né un passatista né un nostalgico…

Si percepisce bene nelle sue parole la ricchezza che ha trasmesso…

Le citerò la frase con cui concluse il suo intervento in assemblea nazionale, a maggio 2017: “Siamo tutti Vittorio Formentano”: disse che ciascun volontario, ciascun donatore Avis può essere un po’ come il fondatore, il dott. Formentano che nel 1927 regalò all’Italia prima e al mondo poi l’idea e la realizzazione del dono gratuito, organizzato, periodico del sangue.

Fedeli ai valori fondativi, aperti a ogni innovazione per convinzione e vissuto: ecco l’eredità di Pietro. Non possiamo farne a meno. E la nostra non è una memoria cerimoniale: il Percorso Varasi, evento “Fil Rouge” e inserito nella Civil Week proprio in queste settimane sta, mediante dei webinar serali, dando realizzazione a un’altra delle specialità di Pietro: la formazione.

Carlo Assi con Gianpietro Briola, presidente Avis nazionale

Cosa significa fare il dirigente associativo oggi? Che competenze e che doti caratteriali servono?

Il mondo del volontariato e in generale il terzo settore hanno visto crescere il riconoscimento sociale e istituzionale del loro ruolo. Il legislatore, nel 2017, ha addirittura concentrato norme e innovazioni in una riforma organica. È chiesta una professionalizzazione di ciò che si fa in gratuità: l’approssimazione non è permessa e l’inadempienza alle norme non è “scusata” dall’agire gratuito. Direi che se pensiamo ai valori, agli strumenti e ai comportamenti come tratti distintivi dell’agire del volontario, certamente i valori fondativi, di gratuità e dono, sono da mantenere saldi e anzi, possono gemmare, da solida radice, sensibilità nuove, coerenti e arricchenti l’ispirazione di Formentano. Gli strumenti vanno sottoposti invece a revisione continua, non solo dal punto di vista tecnologico. Anche i nostri comportamenti devono tenere conto di nuove sensibilità e nuove responsabilità, conseguenza sia delle leggi sia di una società che cambia e che molto ha da offrire anche al volontariato legato al dono del sangue. Sempre che si sappia ascoltare. Ecco, se dovessi dire che doti e competenze servono direi ascolto, inclusività, capacità decisionale, responsabilità. Che, se vuole, sono i tratti di una leadership democratica ed efficace.

L’aggregazione e lo stare insieme: oggi naturalmente molte delle campagne sul dono sono on-line, ma non è dal vivo che il vissuto, il piano emotivo, fa sedimentare la voglia di fare del bene?

Una cosa non esclude l’altra. Anzi, ho in mente la più bella campagna Instagram che abbiamo fatto, a livello locale, e che dura da ormai due anni, ha avuto i giovani donatori come organizzatori, destinatari e protagonisti: raccolta l’adesione online abbiamo proposto di diventare testimonial, con shooting fotografici e filmati messi una volta di più in rete. Non esiste più la distinzione dei primi anni duemila tra on e offline. Virtuale è reale, come dicono gli amici di Parole O-Stili: è questa la nostra realtà: saper trarre il meglio dai due mondi, saperli fare convergere, chiama in cause le competenze, gli strumenti, i comportamenti che dicevamo prima. Ma, mi creda, i risultati poi arrivano.

Parliamo del presente: il dono anonimo, gratuito, volontario, associato. Ogni tanto, qualcuno arriva e parla di raccolta a pagamento, specie sul plasma. I donatori che ne pensano?

Guardi, intanto mi complimento perché non mi ha chiesto un parere sulla “donazione a pagamento” come a volte si sente. È un ossimoro, ciò che è pagato non è donato: è venduto e comprato, è un’altra cosa. Per quanto brutto il termine, dovremmo chiamarla “dazione”. In altri Paesi è la norma, in Italia non riusciamo neanche a pensarlo. L’ultima volta che in Italia si organizzarono insieme i donatori e i datori a pagamento, quella fu una imposizione del regime fascista, nella sua lotta contro i corpi sociali intermedi e le associazioni “non di regime”. La remunerazione del donatore è proprio fuori dal nostro modo di pensare. Altra cosa ovviamente sono i rimborsi alle associazioni, che sono stabilite da leggi e convenzioni, e che permettono il funzionamento di un sistema, quello italiano, che beneficia di dirigenti associativi, consiglieri, volontari che, senza alcun compenso, donano non solo sangue ma tempo, energie, idee, innovazioni. E lo fanno con gioia.

La Lombardia è stata tra le zone più colpite dal Coronavirus, e da quando è stata utilizzata la terapia al plasma il dono e i donatori sono stati importantissimi anche in questa epidemia. Da donatore come hai vissuto questa esperienza, e cosa ci insegna? 

Ci insegna che generosità e disciplina non sono in antitesi. Lo abbiamo visto quando già a metà marzo abbiamo “pareggiato” il calo di donazioni che comprensibilmente si era avuto dall’ultima settimana di febbraio in poi. Nella mia esperienza ho anche la risposta dei donatori, ma anche dei cittadini, della associazioni diverse da AVIS, di realtà della cooperazione che aderirono alla raccolta fondi “CernuscoRianima” quando riuscimmo in un mese a donare due postazioni letto attrezzate all’Ospedale Uboldo di Cernusco. Una operazione concordata con i vertici della azienda soci sanitaria territoriale che ricevette un sostegno anche da associazioni di donatori di sangue dall’Europa, dall’America, dall’Africa e dall’Asia. Intanto i donatori sono importantissimi e il loro dono lo sarà ancora di più nelle prossime settimane, quando la sanità dovrà ad esempio “recuperare” interventi chirurgici procrastinati causa pandemia. Avis è stata presente e di supporto nelle prime sperimentazioni di cure con plasma iperimmune, e lo sarà ancora, senza rincorrere facili entusiasmi o accalorarsi in atteggiamenti da “tifoseria” che non sono nostri. In questo gli interventi del presidente nazionale, Gianpietro Briola, anche su queste pagine web, sono stati chiari, e ancora con lui ne parleremo giovedì sera, dalle 21.00, nel Webinar del PerCorso Varasi intitolato “il sangue che cura”.

Di cosa tratterete?

Proprio mentre parliamo è diffusa una notizia importante: in occasione della Giornata Mondiale del Donatore, Regione Lombardia, SRC-AREU e Avis Regionale Lombardia danno il via al progetto per raccogliere plasma iperimmune per la produzione di immunoglobuline specifiche. Un esempio di capacità di creare rete e collaborazione che il presidente di Avis Lombardia, Oscar Bianchi, ha saputo mettere a disposizione di un bisogno di sanità pubblica importante e di cui, ancora oggi, ciascuno di noi coglie l’urgenza. Soprattutto in Lombardia. Questa emergenza, in gran parte lombarda, ha trovato a fronteggiarla certo “in prima linea” medici, infermieri, scienziati e responsabili istituzionali e anche dipendenti delle aziende logistiche, della distribuzione e della filiera alimentare.Ma in seconda linea, nelle retrovie, non siamo mai mancati noi.Il capitale sociale accumulato in decenni, nei nostri paesi prima ancora che nelle nostre città, è stato fondamentale. Avevamo un arsenale di generosità pronto all’uso. Lo abbiamo usato con generosità e disciplina. Questa esperienza ci insegna che, sì, ne siamo capaci.

Chiudiamo in bellezza. La cosa più bella della tua esperienza associativa?

Ciò che ho visto negli ultimi anni è bellissimo: la gioia massima però è quando papà e figli, o mamme e figli, vengono a donare insieme.