Un confronto intenso e ricco di contenuti quello trasmesso giovedì 16 aprile da DonatoriH24 in videostreaming su un tema oggi di grande attualità: la terapia contro il Coronavirus basata sull’utilizzo del plasma iperimmune dei pazienti guariti.
Di seguito è possibile rivedere la conferenza integrale, in aggiunta al nostro resoconto dettagliato:
Coordinati da Luigi Carletti, direttore responsabile di Donatorih24.it, sono intervenuti Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro nazionale sangue; Massimo Franchini, direttore del Servizio trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova; Gianpietro Briola, presidente nazionale Avis; Alessandro Gringeri, Chief Medical e R&D Officer di Kedrion Biopharma, azienda biofarmaceutica italiana specializzata nella produzione e distribuzione in tutto il mondo di terapie plasma-derivate, che ha contribuito all’iniziativa con un contributo non condizionante.
Di nuovissima concezione e ancora in fase di sperimentazione, la terapia da plasma da convalescenti ha avuto il merito di unire attorno a sé tutti gli stakeholder del sistema sanitario e trasfusionale. Affinché la terapia possa trasformarsi a tutti gli effetti in una cura efficace ogni attore del sistema dovrà dare il proprio contributo. Attorno al protocollo di Pavia agiscono gli ospedali all’avanguardia, le aziende private come Kedrion Biopharma che dispongono del know-how e della tecnologia necessaria per accelerare la fase sperimentale, le istituzioni come il Centro nazionale sangue che con rigidi criteri di sicurezza ha accordato l’utilizzo del plasma, e naturalmente i donatori di sangue, vero carburante della terapia, in quanto fornitori della materia prima biologica.
Sono quindi tantissimi i dettagli legati alla terapia su cui è importante sapere tutto. A cominciare dalle origini dell’utilizzo del plasma da convalescente, visto oggi come una possibilità da milioni di persone, e che come ha spiegato il dottor Franchini si basa su precedenti positivi anche abbastanza recenti. “Per noi la terapia può essere una risposta. Sars del 2003 e Mers ed Ebola nel 2015, che non avevano farmaci specifici, sono state curate attraverso il plasma convalescente, una cura accettata anche dall’Oms, che si basa sul plasma dei pazienti guariti che hanno contratto gli anticorpi”.
Tempistiche dettate dagli accadimenti, che tuttavia hanno ricevuto grande accelerazione grazie alla collaborazione di tutti, come ha confermato Alessandro Gringeri: “Su questo Coronavirus la prima esperienza è stata fatta dai cinesi, che avendo poco tempo a disposizione e poche altre possibilità hanno iniziato a sperimentare. Noi ci siamo rivolti a loro ci hanno dato questo suggerimento e ora aspettiamo i primi dati dall’esperimento di Pavia e Mantova. Il dato che speriamo di poter confermare scientificamente è che il plasma di convalescenti abbia dentro sé questa potenza di applicazione sui pazienti e che sia in grado dunque di avere effetti positivi nella cura”.
E la sicurezza trasfusionale? Un valore che le istituzioni italiane hanno preservato con quella rigidità che in questo campo fa rima con tutela e garanzie sanitarie. Come, lo ha spiegato Giancarlo Liumbruno. “A metà marzo – ha detto il direttore del Cns – abbiamo ricevuto la richiesta di poter utilizzare il plasma da convalescenti da strutture lombarde come Mantova e Pavia, e per poterlo fare bisognava dare una normativa di sicurezza molto seria. Abbiamo adottato quindi un protocollo molto restrittivo, con esami particolarmente rigidi e interventi di inattivazione virale molto forti. Questo trattamento si è esteso a molti paesi europei, con profondo interesse, e il protocollo di Pavia è stato preso in esempio. Noi abbiamo fatto da apripista, tanto che la commissione europea ha deciso di dare delle linee guida su questo trattamento”.
Chiara sulla sicurezza anche la posizione di Franchini, che ha introdotto anche il tema della quantità in termini di utilizzo della terapia “Abbiamo plasma sicuro, di qualità farmaceutica. Noi abbiamo aderito al protocollo di Pavia e siamo partiti con la trasfusione di plasma convalescente dei pazienti. Il protocollo prevede attualmente 43 pazienti e finora ne abbiamo trattati circa 20, ma poiché i risultati sono stati promettenti ci stiamo predisponendo una fase 2 per poter agire su 200 pazienti.”
Sulla portata iniziale della terapia, su quanti pazienti potrà interessare, si è espresso lo stesso Liumbruno, specificando la che almeno nella prima fase, la terapia da plasma immune dovrà essere considerata soprattutto una risposta all’emergenza. “Non credo – ha detto Liumbruno innescando tuttavia un altro tema chiave come la trasformazione della terapia nel medio lungo termine – che ci potranno essere le energie per intervenire su tutti i pazienti. Questo è un trattamento che possiamo definire salva-vita, ma c’è un altro possibile criterio di utilizzo del plasma iperimmune: è quello di produrre delle immunoglobuline. Le nostre linee guida sono concepite in duplice modo, e nel medio termine questo plasma dovrebbe diventare materia per l’industria per produrre plasmaderivati specifici”.
Che gli approcci da seguire grazie al plasma da pazienti guariti siano diversi, lo ha confermato anche il professor Steven Spitalnik, della Columbia University di New York, cha ha appena attivato il protocollo per la donazione e l’impiego del plasma convalescente in Usa. “Il primo approccio – ha detto – prevede di utilizzare il plasma in persone particolarmente esposte al Coronavirus, come il personale medico e infermieristico. In questo caso il plasma sarebbe inteso come fattore di prevenzione per l’infezione. Il secondo approccio prevede l’utilizzo del plasma in pazienti ospedalizzati ma non in terapia intensiva, per capire se il plasma iperimmune è in grado di prevenire la progressione della malattia. Il terzo, infine, è quello in America chiamato “Hail Mary”, ovvero la somministrazione al momento in cui il paziente è in pericolo di vita”.
E per quanto riguarda le tempistiche? Nei giorni scorsi i media italian hanno dato risalto all’informazione secondo cui Kedrion Biopharma sarà in grado in qualche mese di produrre un farmaco in grado curare il Coronavirus. È davvero possibile? Rassicurazioni in merito sono arrivate da Alessandro Gringeri, che ha spiegato come nasce l’ottimismo. “L’idea – ha detto il ricercatore – è di andare a prendere le immunoglobuline dei pazienti guariti, ricche di anticorpi e somministrarle ai pazienti gravi. Un caso simile è quello delle immunoglobuline iperimmuni antitetaniche a somministrazione intramuscolare: le immunoglobuline conto le infezioni virali sono frequenti, basti pensare a quelle che agiscono contro l’epatite B, o quelle antirabbia che vengono utilizzate in caso di morso di animali. L’annuncio roboante c’è stato perché abbiamo la piattaforma produttiva necessaria che può andare a estrarre la materia prima dei donatori guariti e creare un prototipo da valutare per verificarne l’efficacia. Abbiamo calcolato circa tre mesi da quando avremo una sufficiente quantità di plasma, quindi entro 4-6 mesi. In questo tempo potremmo avere la prima sperimentazione con effetto immediato, perché i risultati si vedranno nel giro di poche settimane.
Fattore decisivo, dunque la raccolta del plasma. Come ottenere una raccolta adeguata? Come sensibilizzare alla plasmaferesi, ancora oggi una forma di donazione non ancora familiare per molti donatori? Chiara la posizione di Gianpietro Briola, che ha specificato con precisione qual è il potenziale sul medio periodo del plasma iperimmune. “La donazione – ha ribadito il presidente Avis nazionale –- deve restare un gesto etico, volontario, gratuito, anonimo, organizzato e sicuro. Molti nostri operatori ci chiedono se per i donatori di sangue che vanno a donare in questa fase è previsto il tampone per il Covid, e la mia risposta è molto semplice, attualmente non c’è nessun rapporto diretto tra dono e tampone. Non c’è ancora quindi una patente di donatore da Covid-19. Da parte nostra crediamo che oltre all’utilizzo terapeutico del plasma sui pazienti ospedalizzati il vero obiettivo di questa cura debba essere la produzione di immunoglobuline attive da poter somministrare al momento in cui ci sarà il vaccino.”
Parole che richiamano in causa la necessità forte di avere una donazione organizzata e consapevole, che non soffra le emergenze, così com’è successo durante le prime settimane in Lombardia. Bella, su quei giorni difficili, la testimonianza dello stesso Briola, impegnato come medico nelle zone più colpite. “Si è verificata una situazione complicata che abbiamo vissuto in prima linea. È stato uno Tsunami che tutti abbiamo sottovalutato. Noi già a gennaio avevamo notato alcune polmoniti che non erano equiparabili a quelle del passato, ma La Lombardia è una regione con grande passaggio di persone, molte attività, e questa situazione ha permesso l’infezione generalizzata, aiutata dal fatto che la nostra è una regione con età media molto alta, con tante persone con patologie pregresse, e così quello che è successo che molte persone più che per la polmonite sono poi decedute a causa delle complicanze legate alla stessa e ai 10-15 giorni di febbre prima dell’arrivo in ospedale. I problemi di raccolta all’inizio sono dipesi dal fatto che non si sapeva se si poteva donare, o trasmettere il virus attraverso il sangue. I donatori di Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia rappresentano almeno il 50% dei donatori italiani. Superato il primo momento li abbiamo rassicurati, e abbiamo chiesto loro di donare in modo organizzato prenotandosi nei centri trasfusionali. Per quanto riguarda il plasma sottolineo la peculiarità italiana, che può contare su un sistema etico secondo cui il palsma è un bene pubblico che viene dato in conto terzi alle aziende per essere lavorato e trasformato in farmaci plasmaderivati, che poi vengono ridistribuiti alle strutture sanitarie. Quindi il nostro obiettivo è migliorare sempre in vista dell’ottenimento dell’autosufficienza. Se ogni centro trasfusionale facesse anche 1 sola plasmaferesi in più al giorno nel giro di 1 anno raggiugeremo l’autosufficienza”.
Chiarissimo il sottotesto. Sangue e plasma sono risorse fondamentali e strategiche. L’Italia ha un sistema particolare che molti paesi ci invidiano con milioni di donatori periodici. Questo periodo diviene allora una spinta ulteriore per comunità e associazioni, verso l’obiettivo collettivo, che deve restare, appunto, l’autosufficienza. Liumbruno è ottimista, ma espone anche i rischi che si potranno correre in futuro se per alcuni farmaci bisognerà ricorrere al mercato: “In generale la situazione è dinamica, abbiamo avuto una grande risposta quando c’è stata la carenza ma adesso è importantissimo programmare la donazione per poter contare su volumi sempre adatti all’esigenza. Dobbiamo fare rete e comprendere bene il valore strategico della risorsa plasma. Di fronte a una pandemia potremmo avere esigenze particolari, poiché a oggi il 30% delle necessità di plasmaderivati non sono esaudibili attraverso il sangue nostrano, e questo è chiaramente un problema”.
Infine l’ultimo tema importante, quello della potenzialità della terapia da plasma da plasma da pazienti guariti nel breve, nel medio e nel lungo periodo, quando è auspicabile che si potrà contare sul mattoncino definitivo per debellare il Covid-19, ovvero il vaccino. Che relazione esiste tra cura per mezzo di immunoglobuline e vaccino? La cura eventuale sarà economicamente alla portata di tutti? Le risposte di Gringeri non lasciano dubbi e sono rassicuranti. “Le immunoglobuline iperimmuni potranno fungere come trattamento temporaneo, gli anticorpi somministrati durano 3-4 settimane. Il vaccino invece ha una maggiore durata perché stimola il corpo a produrre i suoi anticorpi, e inoltre potrà essere utile per aumentare il numero dei donatori con un plasma di alta qualità in grado di essere donato. Il prodotto farmaceutico che potremo ottenere sarà disponibile per tutti perché tornerà alle regioni, grazie al sistema nazionale italiano fondato sul plasma pubblico e il conto terzi, che è tra i migliori al mondo”.