L’ospedale Carlo Poma di Mantova è tra le strutture sanitarie in Lombardia che, con il San Matteo di Pavia come capofila, sono pronte ad avviare il progetto di cura del coronavirus attraverso il plasma iperimmune dei guariti. Massimo Franchini, responsabile dell’iniziativa e direttore del servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale della struttura, spiega nel dettaglio la situazione.
A che punto è l’ospedale di Mantova rispetto all’avvio del progetto che curerà i pazienti affetti da coronavirus?
“L’ospedale sarebbe pronto per cominciare, ma l’attesa dipende dal fatto che devono essere trascorsi 14 giorni dalla guarigione dei malati che offriranno il plasma, la materia prima utilizzata nella terapia. Mentre a Pavia il coronavirus si è propagato come un’onda d’urto, nella nostra città ci sono pochi guariti e dobbiamo aspettare un tempo tecnico. Il protocollo però è pronto e stiamo selezionando i donatori. Dovremmo iniziare contemporaneamente con l’ospedale San Matteo di Pavia. La prossima settimana speriamo di poter cominciare ad applicare il progetto.
Qual è l’importanza del plasma per la ricerca e la cura del coronavirus?
Il plasma è fondamentale. È utilizzato sia per la terapia al plasma iperimmune, che ha dato già risultati in altri paesi, sia per produrre i farmaci plasmaderivati e vaccini. Il nostro gruppo di ricercatori vorrebbe che la terapia al plasma iperimmune, avesse il riconoscimento che merita nel mondo scientifico. Per ora è utilizzata con grande cautela in ambito medico anche se secondo i vari report il metodo è giudicato efficace. Poiché nessuno ha mai dimostrato, secondo i criteri moderni, la sicurezza del prodotto, noi stiamo attuando dei procedimenti di sicurezza rigorosi per dimostrarne l’efficacia e la sicurezza. Il punto d’arrivo che vorremmo raggiungere, è la standardizzazione.
Che differenza c’è tra i differenti utilizzi del plasma e le varie cure che sono in sperimentazione in molte parti d’Italia oggi?
Per sconfiggere il Covid-19 abbiamo delle armi a breve termine e delle armi a lungo termine. Per un’emergenza e per fronteggiare la situazione acuta, è indicata la terapia al plasma iperimmune. Le cure che utilizzano il plasma per creare dei farmaci plasmaderivati o dei vaccini, richiedono un tempo di preparazione che supera i sei mesi.
Quali sono le caratteristiche della terapia a base di plasma iperimmune, come viene applicata la cura?
La terapia con il plasma iperimmune consiste nel prendere il sangue ad una persona guarita da coronavirus e infonderne la parte liquida del sangue che contiene gli anticorpi necessari per combatterlo, cioè il plasma, in un malato. Noi ci stiamo impegnando per garantire l’efficacia e la sicurezza del prodotto facendo molti test alla persona guarita da coronavirus. Svolgiamo tutte le analisi a cui sono sottoposti normalmente i donatori di sangue più numerosi altri test.
Com’è garantita la sicurezza del plasma infuso ai pazienti malati di Covid-19?
Oggi svolgiamo circa 30 test prima di infondere il plasma ad un paziente. L’ultimo si chiama virus-inattivazione, un procedimento per cui sottoponiamo il plasma ad una sostanza che è in grado di purificarlo. Puntiamo proprio sulla sicurezza del prodotto, che non solo deve essere sicuro, ma anche efficace per curare i pazienti affetti da coronavirus. Ci stiamo impegnando nel mettere in pratica il protocollo nel modo più rigoroso e scrupoloso possibile. Siamo trasfusionisti e ricercatori, e stiamo affrontando questa sfida, che è anche una sfida sul piano del tempo.
Come selezionerete e contatterete i pazienti guariti da coronavirus disposti a collaborare alla terapia?
Ringraziamo tutte le persone guarite che si stanno già offrendo per donare il plasma al nostro ospedale. Ad oggi i guariti a Mantova sono poche decine, ma in Italia ad oggi sono oltre 60mila i casi di persone positive al virus, quindi tra qualche settimana non sarà difficile trovare persone idonee alla donazione di plasma. Ci baseremo sui tamponi nasofaringei effettuati, l’azienda sanitaria ci indicherà i nomi delle persone risultate positive più di 14 giorni fa. Già stiamo selezionando i candidati, che sono circa il 25 per cento delle persone. La percentuale, è bassa perché è legata al fatto che molti guariti sono persone mature, che hanno superato i sessanta anni di età, pazienti che hanno altri problemi di salute, cardiovascolari o di altra natura. Il donatore guarito da coronavirus, deve essere in salute, come lo deve essere il donatore di sangue.