Negli ultimi giorni le associazioni di donatori di sangue e plasma hanno ricevuto una risposta partecipativa da tanti che hanno contribuito alla raccolta. Le donazioni, nella maggior parte delle regioni, sono tornate a supportare le cure ai pazienti con problemi ematologici e in alcuni casi hanno superato le previsioni, diventando eccedenze. Vincenzo Manzo, presidente di Fratres nazionale, spiega cosa è avvenuto negli scorsi giorni e che cosa è necessario fare da ora in poi per evitare altre emergenze e che si arrivi al surplus di scorte.
Qual è la situazione rispetto alle donazioni nei giorni del coronavirus e cosa è successo nel sistema sangue italiano?
Nei giorni successivi alla diffusione della coronavirus si è avuto un calo delle donazioni dovuto al fatto che il virus ha colpito, in modo prioritario e prevalente, le regioni più virtuose, cioè quelle che maggiormente contribuiscono alla raccolta di sangue ed alla relativa compensazione interregionale. I conseguenti provvedimenti presi ed il clima di incertezza generale dell’evolversi della situazione si sono velocemente diffusi anche nei donatori delle regioni meno colpite. Non sapere che cosa fare, come muoversi, come mettersi in sicurezza ha occupato i pensieri dei cittadini e quindi, fra questi, dei donatori o di chi si voleva avvicinare alla donazione.
Una volta chiarite sia la situazione, che le procedure e le necessità della collettività, anche dal punto di vista del fabbisogno ematico quotidiano, in particolare grazie all’appello del dottor Borrelli della protezione civile, le donazioni sono riprese registrando addirittura una leggera eccedenza rispetto alla crisi che c’era solo qualche giorno prima. Ci risulta infatti, come dato congruo rispetto a quello globale diffuso dal Centro nazionale sangue con il comunicato stampa del 16 marzo, che solo nello scorso fine settimana tra raccolte di sangue e prenotazioni si siano registrati in molte località dei record. La risposta dei donatori, dei volontari e dei testimonial è stata impressionante.
Adesso occorre però parlare di programmazione, infatti già da ieri, come avrò modo di dire più avanti, ci siamo mossi associativamente in tal senso.
Come coinvolgere più persone per partecipare ad una raccolta programmata?
La diffusione dell’idea e poi della pratica della donazione programmata, come già detto, deve essere una delle prossime sfide, sotto l’aspetto della filosofia e dell’organizzazione del dono, a cura delle associazioni. Ovviamente la programmazione può essere soddisfacente solo grazie alla sinergica collaborazione dei donatori, sotto il punto di vista della consapevolezza di far parte di un sistema che va avanti in basse sia alla generosità sia alla necessità e che, per aiutare veramente chi ha bisogno, occorre che la voglia di aiutare sia esercitata programmandola per fare in modo di rendere la disponibilità di sangue nelle strutture adeguata alla necessità che le stesse ci comunicano.
Nei giorni di crisi di donazioni, i territori che soffrivano meno questo fenomeno erano proprio quelli in cui era più radicata la programmazione, la prenotazione della donazione, che già di per sé rappresentava un elemento di sicurezza. Mi auguro quindi che, partendo dai motivi precauzionali contingenti, cioè evitare gli assembramenti ed ottimizzare i tempi, si possa sperimentare la bontà di questa pratica e, in futuro, essere adottata ovunque.
Una donazione programmata significa non solo evitare assembramenti fisici, ma anche picchi donazionali. Di sangue c’è bisogno sempre, quindi non bisogna scoraggiarsi se un trasfusionale dovesse dire che in quel giorno non è possibile donare. Consigliamo anche per questo, oltre che per evitare di intasare i telefoni dei centri trasfusionali ed occupare oltremodo i loro operatori, di rivolgersi alle associazioni che, conoscendo meglio il territorio, possono guidare meglio il donatore non mortificare la sua disponibilità, indirizzandolo verso la sede di raccolta più vicina ed avente la maggiore necessità in quel momento oppure prenotandolo per i giorni più critici che ci sono segnalati.
Qual è la risposta di Fratres per sensibilizzare la popolazione sul tema della donazione?
La Fratres ha agito, con la sobrietà e la concretezza che la caratterizzano, inizialmente evidenziando che la necessità di sangue non era una fake news perché, anche riducendo l’utilizzo di questo prezioso bene al minimo necessario, partiamo comunque dal dato del Cns di 1.800 pazienti al giorno che fruiscono di terapie effettuate solo grazie a tale dono. Dopodiché abbiamo puntato il focus sul fatto che la donazione, anche grazie alle nuove procedure messe in atto, non era motivo di contagio e come lo spostamento da casa rientrasse negli spostamenti consentiti, cosa tra l’altro comunicata formalmente dal Ministero della Salute successivamente al decreto.
Il punto essenziale, per evitare l’assembramento di persone, ma anche per evitare viaggi a vuoto di altre, è stato far passare il concetto della necessità di telefonare preliminarmente all’Associazione di iscrizione o, per i nuovi donatori, a quella più vicina, per prenotare la donazione, sottoponendosi anche alle domande preliminari dell’algoritmo elaborato dal Cns e dal Civis. Tutto quanto sopra la Fratres lo ha sintetizzato nella Campagna #iostoattentomadono e lo slogan “Chi riceve non ha scelta, chi dona invece si: non indugiare, corri a donare: fai vincere la vita”.
A che punto siamo con l’autosufficienza di plasma e sangue in Italia?
Il sistema sangue italiano, grazie ai donatori di sangue ed al loro associazionismo, agli enti ed istituzioni pubbliche preposti nonché all’ottimizzazione dell’utilizzo di questo prezioso bene nelle strutture sanitarie ed alle compensazioni interregionali, è autosufficiente, rispondendo al fabbisogno annuale di sangue edemocomponenti per i 1.800 pazienti che ogni giorno necessitano di terapie basate su tale dono. Il concetto di autosufficienza tuttavia non è “statico”, un’asticella fissa, perché i progressi della medicina, l’età media alta degli italiani (che incide sia nell’aumento di pazienti che nella perdita di donatori), i nuovi traguardi del mondo dei trapianti possono spostare l’asticella più in alto.
Certo è che finora si è riusciti a garantire assistenza per tutti. Bisognerà, per il futuro, creare le condizioni, dati i cambiamenti demografici e sanitari, per conservare e migliorare questi risultati. Per quanto riguarda il plasma si stanno man mano conseguendo gli obiettivi fissati dal piano nazionale che ci dovrebbe portare, entro qualche anno, alla piena autosufficienza. In questo senso cito le parole dell’amico e collega di volontariato Aldo Ozino Caligaris, recentemente scomparso, che affermava sempre che “se ogni donatore di sangue effettuasse anche solo una donazione di plasma all’anno avremmo già raggiunto l’autosufficienza”.
Data la situazione di oggi del nostro sistema, che cosa è possibile fare per migliorare il sistema sangue italiano?
Il sistema sangue italiano come concezione, basato cioè sulla donazione volontaria, gratuita, anonima, periodica e responsabile è tra i migliori del mondo.
Negli ultimi anni, però ha sofferto di una carenza di personale, medico soprattutto, ma anche infermieristico. E questo per i tagli che sono stati fatti alla sanità ma anche per l’istruzione e formazione, perché manca un’adeguata sensibilità e la conseguente attenzione, scolastica ed accademica, sulla medicina trasfusionale. Il miglioramento quindi potrebbe venire da una rivalutazione del ruolo della medicina trasfusionale dotando le strutture del personale necessario e istituendo percorsi didattici in “Medicina Trasfusionale”. Lo stato italiano garantisce infatti, attraverso il Servizio sanitario nazionale, la terapia trasfusionale, compresa tra i “livelli essenziali di assistenza”, disciplinando la materia con opportune leggi, in accordo con gli specifici regolamenti europei. Inoltre i servizi trasfusionali italiani soffrono anche di una ulteriore penalizzazione: l’accesso al settore non prevede una specifica specializzazione ma è sufficiente
il possesso di specializzazioni equipollenti. Per quanto sopra la Fratres, a seguito anche di un precedente documento del Cns al riguardo, ha inviato al ministro della Salute, Roberto Speranza, in data 31 gennaio, una nota esplicativa delle problematiche sollevate evidenziando l’opportunità di istituire percorsi di laurea che post laurea, all’interno di una scuola di specializzazione in medicina trasfusionale oppure avvalendosi delle altre scuole di specializzazione già esistenti (Ematologia, Patologia Clinica o Immunologia). Ciò permetterebbe di cogliere un duplice obiettivo: l’ampliamento dell’offerta formativa per i neolaureati e la disponibilità di specialisti del settore con moderne competenze al servizio e nell’interesse della nostra collettività. Un altro aspetto che forse potrebbe essere migliorato è una gestione più omogenea di tutto il sistema, meno condizionato dalla visione regionalistica che governa la sanità italiana, in quanto essendo il raggiungimento dell’autosufficienza un obiettivo nazionale, forse sarebbe meglio che il sistema venisse gestito a livello centrale.