Donatori e riceventi, perché far incontrare le famiglie
Galbiati: “A chi sono andati gli organi di mio figlio?”

2019-03-28T15:12:11+01:00 28 Marzo 2019|Personaggi|
di Emiliano Magistri

Lavorare sulle nuove generazioni affinché siano i giovani, per la società, gli ambasciatori di quanto sia importante decidere di donare gli organi. Magari dedicando ore o giornate nelle scuole per sensibilizzare più ragazzi possibili su questo tema.
Marco Galbiati è il papà di Riccardo, morto a 15 anni su una pista da sci per colpa di un arresto cardiaco. Reni, fegato e cornee del ragazzo hanno permesso ad alcune persone di tornare a vivere o di vivere meglio grazie a quello che, come lo stesso Marco dichiara, “è stato l’ultimo regalo di mio figlio”. Era il 2 gennaio 2017. In memoria di Riccardo, il papà ha fondato un’associazione chiamata “Il tuo cuore la mia stella”, che ad oggi è attiva nei settori di sport e cucina, le due passioni del ragazzo scomparso, e per i quali organizza eventi all’Aprica, il paese della Valtellina dove si è consumata la tragedia. Ma non solo.
Dalla morte del figlio, Marco è impegnato insieme a Reginald e Maggie Green (genitori di Nicholas, il bambino statunitense ucciso, nel 1994, sull’autostrada Salerno – Reggio Calabria per un tragico scambio di persona) a cambiare la legge italiana (art. 18, comma 2, Legge 1 aprile 1999, n. 91) che, al momento, vieta al personale sanitario di fornire informazioni sull’origine degli organi che vengono trapiantati su un determinato paziente.

Riccardo Galbiati, scomparso nel gennaio 2017

Marco, cerchiamo di capire un po’ meglio la situazione attuale e cosa chiedete
La legge è molto chiara. Pur non vietando alle famiglie di donatori e riceventi di mettersi in contatto, impedisce al personale sanitario incaricato di fornire informazioni. C’è massima riservatezza e, conseguentemente, grande difficoltà di riuscire a raggiungere i familiari. Oggi per fortuna al vaglio della Camera dei Deputati c’è una proposta per far sì che il testo della legge in questione venga modificato il prima possibile, così da poter cambiare le cose.

Cosa dovrebbe spingere il familiare di un donatore e di un ricevente a volersi conoscere?
Si tratta di un sentimento estremamente soggettivo. Non è una regola che vale per tutti. Molte persone tendono a chiudersi e a non voler sapere nulla, mentre a me è successo esattamente il contrario. Volevo trovare queste persone per conoscerle e poter raccontare chi era Riccardo: un ragazzo sorridente e sensibile che, prima di morire, ha fatto l’ultimo regalo donando la vita agli altri. La mia fortuna, in questo percorso, è che sto continuando a trovare persone che stanno ricambiando questo desiderio, anche loro vogliono parlare della propria storia e ringraziare la famiglia di chi, grazie al dono, ha salvato i loro cari.

Eppure all’inizio, anche per lei, avviare questa battaglia non è stato semplice
Qualche mese dopo la morte di Riccardo, pubblicai un annuncio sulla mia pagina Facebook lanciando un appello per conoscere le persone che, grazie agli organi di mio figlio, avevano continuato a vivere. Dopo qualche giorno mi rispose un uomo di Bari che, a Verona, ricevette il rene destro di Ricky. Andai a parlare con il presidente del Cnt (Centro Nazionale Trapianti, all’epoca era Alessandro Nanni Costa, da marzo di quest’anno è il dottor Massimo Cardillo, ndr) che inizialmente non appoggiò la mia richiesta.

Da qui l’idea di Change.org
Lanciare una petizione online fu decisivo. Improvvisamente mi trovai affiancato da esponenti della politica come Ignazio Marino o personaggi dello spettacolo come Barbara D’Urso che contribuirono ad accrescere la visibilità della battaglia che stavo portando avanti. Anche insieme a Reginald Green. A quel punto per il Cnt fu impossibile far finta di nulla e, dopo il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica, siamo riusciti ad andare avanti, fino a oggi che aspettiamo con ansia la decisione della Camera dei Deputati.

Qual è il suo e vostro obiettivo?
Con Green vogliamo continuare a portare avanti l’importanza della cultura della donazione. Vorremmo che durante l’anno scolastico, un giorno o anche qualche ora, vengano dedicate a questo tema: i giovani devono essere gli ambasciatori di questa campagna. Le nuove generazioni devono contribuire a far capire alla società che, là fuori, ci sono persone a cui, un nostro sì o un nostro no, può cambiare la vita. Occorre una sempre maggiore consapevolezza e se di questa consapevolezza riusciremo a far diventare promotori proprio gli adulti di domani, avremo vinto.

LEGGI la notizia della battaglia di Galbiati e Green