Molecole contro il colangiocarcinoma
La scoperta di una ricercatrice abruzzese

2019-03-15T18:47:01+01:00 15 Marzo 2019|Attualità|
di Emiliano Magistri

Una combinazione di molecole di acido obeticolico, già utilizzate per il trattamento della colangite biliare primitiva, per debellare il colangiocarcinoma intraepatico. È questo il risultato a cui ha portato la ricerca effettuata da Sabina Di Matteo, ricercatrice del policlinico Umberto I di Roma, e che le è valsa la vittoria del premio “Minerva”, il riconoscimento che la Fondazione La Sapienza assegna ogni anno ai dottori di ricerca per le attività di studio più innovative.

“Sono molto soddisfatta di questo risultato perché rappresenta il coronamento di anni di lavoro e sacrifici portati avanti insieme al mio professore Domenico Alvaro – spiega Sabina Di Matteo a DonatoriH24 -. In realtà non si tratta della scoperta di un farmaco, come è stato erroneamente riportato, ma di uno studio che prevede l’utilizzo di molecole già in commercio per altre patologie”.

Sabina Di Matteo

Le molecole di acido obeticolico, infatti, sono lo strumento con cui viene trattata la Bdp (la colangite biliare primitiva, una malattia cronica autoimmune del fegato che interessa i piccoli dotti biliari) e, secondo quanto racconta la giovane ricercatrice abruzzese (è originaria di Cese dei Marsi, un piccolo paese vicino ad Avezzano, in provincia de L’Aquila), “abbiamo pensato che potrebbero contribuire a uccidere questa forma tumorale maligna del fegato”.

Un percorso che è iniziato oltre tre anni fa: “Dopo i test in laboratorio, abbiamo chiesto la possibilità di applicare queste molecole su pezzi di resezione chirurgica tagliati nel corso di determinati interventi, previa autorizzazione dei pazienti interessati. Una volta ottenuto il benestare – racconta -, abbiamo isolato le cellule tumorali che si trovavano sui pezzi di fegato in questione e le abbiamo messe in coltura. A quel punto abbiamo avviato i test sulle cellule isolate per poi chiedere l’autorizzazione al comitato etico della Sapienza a procedere con i test sugli animali“. E lì c’è stata la svolta: “Avevamo fatto crescere il tumore umano nei topi e, al momento di applicare queste molecole, abbiamo ottenuto un risultato straordinario perché il tumore andava in necrosi, cioè spariva”.

Adesso Sabina e il professor Domenico Alvaro, direttore del reparto di Medicina traslazionale e di precisione del policlinico Umberto I, sono in attesa dell’ok a procedere con la sperimentazione sugli uomini: “I test effettuati finora hanno dato ragione alle nostre teorie – conclude – quindi confidiamo di poter avviare questa fase entro l’anno”.