“Curare una malattia rara è imparare sempre qualcosa di nuovo. È affidarsi a metodi scientifici, ma anche a numeri e persone. E più si studia, più si comprende la complessità della patologia”.
Il professore Fabio Pagella è responsabile del Centro HHT di Pavia per la ricerca, la diagnosi e la cura della teleangectasia emorragica ereditaria, detta anche HHT (sigla in inglese) o “malattia di Rendu-Osler-Weber”.
In tutta Italia esistono altre due realtà simili, a Crema e Bari. Quella di Pavia, in attività da oltre vent’anni, è sicuramente all’avanguardia. Lo confermano i numeri: 1080 pazienti trattati nel solo anno 2018, 885 diagnosi di HHT, 145 sospette HHT. Ogni mese il Centro riceve 150-250 contatti, circa 2100 richieste all’anno da tutta Italia.
Tra i 40 e i 50 anni è l’età in cui la malattia si manifesta in modo più invasivo, con teleangectasie evidenti e aumento delle epistassi, ma i primi sintomi compaiono già da bambini tant’è che Pavia ha aperto un ambulatorio pediatrico per seguire i figli dei pazienti. Cento sono già i più giovani in trattamento e 1500 i casi noti in tutta Italia: secondo le stime dovrebbero essere 10mila.
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Professor Pagella, qual è l’incidenza della teleangectasia emorragica ereditaria (HHT)?
La HHT è una malattia genetica che colpisce una persona su 8000, ma si tratta di una percentuale sottostimata. Il numero dei pazienti affetti è destinato a crescere perché si tratta di una patologia ancora non ben conosciuta. Troppo spesso la malattia, che si manifesta palesemente con epistassi, è considerata un normale sanguinamento nasale e come tale sottovalutata fino a quando l’anemizzazione è tale da richiedere trasfusioni. Eppure ci sono caratteristiche anche visibili che possono aiutare il medico a fare la diagnosi corretta e il paziente a ritrovare una buona qualità di vita.
Oltre ad epistassi, che cosa causa questa malattia rara?
Si manifestano teleangectasie, ovvero dilatazioni di vasi sanguigni a livello della mucosa nasale e orale, della lingua e della cute. La ricerca ci ha mostrato, però, e questa è la parte più insidiosa della malattia, che ci sono rischi di malformazioni arterovenose nel polmone, nel fegato e nell’encefalo. Da una malattia genetica rara curabile, anche se ancora non in modo definitivo, si può dunque arrivare, se non riconosciuta, a casi di ictus, emorragie cerebrali, ipertensione polmonare. Se colpisce il fegato può persino diventare necessario un trapianto.
Quattro, dunque, gli elementi che concorrono a rendere riconoscibile la teleangectasia emorragica ereditaria: epistassi, familiarità, teleangectasie ed eventuali malformazioni arterovenose. La ricerca sta facendo passi importanti, ma non ha ancora portato a risultati definitivi. Oggi è possibile migliorare notevolmente la qualità di vita del paziente, ma non assicurare la completa guarigione.
A Pavia come viene trattata la persona affetta da HHT?
La prima azione è insegnare al paziente a gestire l’epistassi mostrando come comportarsi durante il sanguinamento. Quindi, spieghiamo cosa fare per prevenire l’epistassi con semplici norme di comportamento, quali tenere umidificato l’ambiente domestico e ammorbidire con creme le fosse nasali. Se questo non basta si interviene in endoscopia per colpire le teleangectasie; ma ci sono casi estremi in cui condividiamo con il paziente la necessità di arrivare alla chiusura della fossa nasale. Purtroppo, una terapia definitiva ancora non esiste.
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Quali sono i punti di forza che fanno di Pavia un centro di eccellenza?
Innanzitutto la scelta di mettere al centro il paziente; ogni persona che si riferisce a noi è trattata come un caso a sé, perché ogni persona vive questa malattia in modo diverso. Per questo motivo abbiamo scelto di adottare un approccio multidisciplinare. Il centro vede coinvolti una trentina di specialisti tra cui otorini, radiologi, anestesisti, genetisti, ginecologi, pneumologi, dermatologi, pediatri, internisti, cardiologi. Figure che si affiancano alla mia équipe. Questo fa la differenza tra noi e gli altri centri. Oltre al lavoro di gruppo è vincente l’avere sviluppato un database in cui raccogliamo tutte le informazioni del paziente.
Qual è l’utilità di raccogliere tutti i dati dei casi trattati?
Noi archiviamo tutta la storia clinica del paziente, ma anche ogni informazione che ci viene riferita e che può diventare utile per la ricerca. Per ogni persona registriamo circa 250 dati. Ci stiamo rendendo conto di avere attivato un potente strumento di correlazione ed analisi dei dati per scopi clinici e di ricerca.
In campo farmacologico ci sono novità per la cura della HHT?
Negli ultimi anni è stata avviata una collaborazione tra Policlinico San Matteo, Università di Pavia ed Università di Parma per lo sviluppo di una formulazione di Talidomide per uso topico. Attualmente si sta lavorando ad una nuova sperimentazione di un prodotto per uso topico a partire da polveri di Talidomide; dobbiamo valutarne sicurezza, efficacia e tollerabilità.
Un’ultima domanda, quanto è rilevante la presenza di una associazione di pazienti affetti da HHT?
Per noi è importantissima, perché ci consente di mantenere vivo il rapporto con i malati, ma anche per il contributo che danno alla diffusione della conoscenza della malattia e per l’opera di sensibilizzazione alle donazioni di sangue, che per noi sono fondamentali. Basti pensare che ogni volta che interveniamo su un paziente, la sala deve tenere a disposizione tre sacche di sangue.