Autosufficienza: valore fondamentale o anche no?
I dirigenti del Cns al Garante: “Non è auspicabile”

2019-01-24T17:25:29+01:00 11 Settembre 2018|Donazioni|

Autosufficienza. Che cosa significa? E, soprattutto, che cosa significa per l’Italia quando se ne parla nel campo del sangue e del plasma?

Senza troppo perdersi tra i tecnicismi, autosufficienza significa semplicemente che il nostro Paese dovrebbe dipendere il meno possibile da “fornitori” esterni e, quindi, dovrebbe avere al proprio interno tutte le risorse per rispondere a qualsiasi tipo di necessità e/o emergenza: dalle carenze di sangue all’esigenza di produrre emoderivati come farmaci di grande utilità (esempio i cosiddetti salvavita).

Ora noi sappiamo che su questo specifico tema, negli anni, si sono versati fiumi d’inchiostro e in molte occasioni è stato ribadito che l’autosufficienza è un valore primario in nome del quale – spesso – si esortano i donatori e le loro associazioni a rispondere a ogni tipo di sollecitazione: dalla donazione periodica alla mobilitazione straordinaria.

A fronte di questo quadro, suscitano perciò un certo stupore alcuni passaggi del verbale di audizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato risalente al 14 giugno scorso. Un documento in cui si riportano le dichiarazioni dei dirigenti del Centro nazionale sangue: il direttore generale Giancarlo Liumbruno, il responsabile del settore plasma e medicinali plasmaderivati Gabriele Calizzani e la responsabile del servizio legale, Patrizia Fetta. Infatti, a un certo punto dell’audizione, il dottor Luca Arnaudo dell’Autorità garante chiede al Cns chiarimenti sul concetto e obiettivo di autosufficienza nazionale, “in particolare – si legge nel documento – per quanto riguarda la scelta dei plasmaderivati da produrre, tenuto conto della circostanza che, nelle audizioni sin qui tenute per il presente procedimento, sono emerse valutazioni discordanti rispetto alla compatibilità con tale obiettivo delle diverse gare di conto-lavorazione bandite dai raggruppamenti regionali”.

E qui le risposte dei dirigenti del Cns appaiono abbastanza sorprendenti. “I rappresentanti del Cns – si legge nel verbale di audizione – fanno presente che tale concetto (quello di autosufficienza, ndr) – non va preso alla lettera, ma deve piuttosto essere inteso come un forte incentivo al miglioramento delle attività di raccolta sangue/plasma su base nazionale: a titolo di esempio, l’obiettivo fissato per l’anno 2020 è pari a 860.000 Kg. Ma già dal 2017 sono stati raggiunti gli 830.000 Kg. In una prospettiva operativa, peraltro, a fronte delle attuali condizioni e tendenze di donazione esistenti in Italia, il raggiungimento di una totale autosufficienza non solo non è materialmente possibile, ma neppure auspicabile, in quanto ciò potrebbe comportare difficoltà di “agganciare” il mercato dei plasmaderivati c.d. commerciali nell’eventualità di particolari necessità di rifornimento, esempio per emergenze sanitarie o improvvise rotture di stock produttivi da conto lavorazione”.

Il verbale dell’audizione prosegue con una serie di osservazioni riguardanti le forniture di plasmaderivati e le gare di conto-lavorazione, ma quello che resta del ragionamento dei dirigenti del Cns riportato dall’Autorità garante, è il principio secondo cui da un lato si afferma – in ogni occasione possibile – che l’autosufficienza è un valore assoluto, e poi nella riservatezza di un’audizione si “precisa” che il concetto non va preso alla lettera. Francamente sfugge la ratio della diversa formulazione del messaggio, anche perché il giorno stesso di quell’audizione – il 14 giugno, Giornata mondiale dei donatori di sangue – e anche nelle celebrazioni dei giorni seguenti, il tema dell’autosufficienza aveva campeggiato come il vessillo di tutte le battaglie.

La sensazione – ma è qualcosa di più di una sensazione – è che nel mondo del sangue italiano si stia giocando una partita estremamente delicata in cui entrano in gioco equilibri molto particolari, che vanno dal potere degli attori coinvolti a interessi economici rilevanti fino a un tema non banale come il futuro dei donatori (circa due milioni di volontari in Italia), da molti considerati un patrimonio inestimabile, e da altri un’anomalia da correggere, magari con la remunerazione e quindi attraverso una visione mercantile di un mondo che finora ha funzionato come una comunità legata alla solidarietà e, appunto, al volontariato.

Di sicuro, se sui due milioni di donatori italiani, dovesse calare potentemente e autorevolmente il messaggio che l’autosufficienza è un concetto “che non va preso alla lettera ecc. ecc.”, ad oggi non è probabilmente immaginabile la catena di conseguenze che si metterebbe in moto. Magari si assisterebbe a una ripresa esponenziale delle donazioni. O magari no. Magari si registrerebbe un’ulteriore frenata con nuove e più gravi carenze. Quelle che giornalmente vengono denunciate dai centri regionali sangue con appelli ai donatori italiani.

 (dir)