Grosseto, sbagliarono la sacca di sangue
Condannati per omicidio colposo

2018-07-19T10:44:48+02:00 17 Luglio 2018|Attualità|

Sono stati condannati a 4 mesi di reclusione il medico e l’infermiera dell’ospedale della Misericordia di Grosseto che cinque anni fa, nell’agosto del 2013, confusero la sacca con cui fare la trasfusione a un paziente, morto in poche ore dopo la somministrazione di sangue.

LA SENTENZA

Il reato contestato è omicidio colposo. La sentenza è stata pronunciata dal tribunale di piazza Albegna, a Grosseto. A morire a causa di quel tragico errore, il 25 agosto, fu Sergio Fiorini, 76 anni, ricoverato per una polmonite nel reparto dove all’epoca lavorano i due imputati, Alessandro Panella e l’infermiera Giuliana Tondini. All’origine della tragedia, uno scambio di sacche con un paziente del letto accanto a quello di Fiorini nel reparto Rianimazione.

UNA CATENA DI ERRORI

Ed è proprio la presenza nella stessa stanza della vittima e dell’uomo per cui è in programma quel giorno la trasfusione l’origine della serie di sbagli o superficialità commessi dai sanitari. Il sangue del gruppo A-Rh positivo contenuto nella sacca è infatti destinato al paziente accanto a Fiorini che sta subendo una trasfusione. Durante la trasfusione, Fiorini, ha avuto un problema respiratorio grave. Quindi tutti i sanitari che stavano facendo la trasfusione, interrompono il loro lavoro e si concentrano su Fiorini. A quel punto inizia la catena degli errori: nessuno dei due imputati presta attenzione alla differenza di nomi tra quello scritto sul braccialetto legato al polso di Fiorini e l’altro impresso sull’etichetta della sacca, tra l’altro poggiata su un tavolino in mezzo ai due letti. L’ago viene infilato nel braccio sbagliato. Cinquanta minuti dopo, Fiorini è in condizioni compromesse.

Nel capo d’imputazione sono anche elencati altri errori, ognuno riconducibile al medico e all’infermiera. Oltre alla verifica dell’identità, Panella e Tondini – secondo la procura – avrebbero pure mancato di accertare la compatibilità del gruppo sanguino nella sacca con quello della persona ricoverata. Ad aggravare la loro condotta il fatto che medico e infermiera non sono stati presenti insieme durante l’operazione di somministrazione di sangue. Tondini, secondo l’accusa, avrebbe svolto il compito senza l’assistenza del medico. Solitudine che ha contribuito in modo decisivo a provocare lo scambio giudicato fatale dai giudici per la salute di Fiorini. Inoltre quel giorno la vittima non viene nemmeno sorvegliata per i 10-15 minuti successivi all’inizio della trasfusione. La morte di Fiorini sopraggiunge poche ore dopo il termine dell’operazione.

LA TESI DELLA DIFESA

Nella penultima udienza in tribunale, di fronte al giudice Andrea Stramenga, il professor Massimo Pistolesi, (malattie dell’apparato respiratorio dell’università di Firenze), aveva detto di essere rimasto sorpreso, vista la tac del 21 agosto, che Sergio Fiorini fosse ancora vivo. Ripetendo ben tre volte la parola “sorpreso”.

In sostanza, ha sostenuto la difesa dei due sanitari, le condizioni del settantaseienne erano già così compromesse che da quel reparto non sarebbe uscito vivo, nemmeno se non avesse subito quell’errore. La condanna inflitta dal giudice Stramenga è di poco inferiore rispetto a quanto chiesto dal sostituto procuratore Maria Navarro, mentre gli avvocati della difesa hanno chiesto il proscioglimento di entrambi gli imputati. «I polmoni del paziente erano ormai epatizzati e non avrebbero ripreso la loro funzionalità – dicono gli avvocati della difesa Luciano Giorgi e Carlo Valle – i sanitari non hanno avuto responsabilità nel causare la morte dell’uomo. Purtroppo, questo evento, sarebbe successo lo stesso». L’infermiera che aveva inserito la cannula nel braccio del paziente sbagliato «ha avuto una condotta inappropriata – scrive l’avocato Giorgi nella sua memoria – ma la colpa commissiva non è però sufficiente per affermare la penale responsabilità della stessa per il decesso del paziente; tantomeno la responsabilità del dottor Panella».

LE ACCUSE DEI FAMILIARI

Molto diversa la tesi sostenuta dai familiari di Fiorini, in particolare della sorella, che durante tutto il processo sono stati difesi dall’avvocato Maurizio Sangermano del foro di Roma.

«Una delle due tesi della difesa è che Fiorini  sarebbe comunque morto – dice a Donatorih24 Sangermano – Ma il Fiorini era un uomo attivo. Prima di entrare in ospedale, nonostante i suoi 76 anni, lavorava ancora come rappresentante. E soprattutto, prima di quella trasfusione sbagliata era vivo». E aggiunge: quando ho chiesto al processo “allora visto che doveva morire, potete dirci dopo quanto sarebbe morto? Dopo un’ora, un giorno, un mese?” Mi è stato risposto “Non ho la palla di cristallo e non sono un indovino”. Allora, dico io  – prosegue Sangermano – se non siete degli indovini come fate a dire che il paziente doveva morire?»

L’avvocato poi, contesta anche  chi a denti stretti ha accennato alla  parola «eutanasia». Oltre al fatto che in Italia la buona morte non è legale, dice, «secondo lei l’implosione degli organi interni a causa di una trasfusione sbagliata può essere definita dolce morte?».

E  prosegue elencando una serie di evidenze del processo che mal si sposano con la tesi della difesa: l’infermiera, sostiene, accortasi dello sbaglio, «non è accorsa a chiedere aiuto ma anzi ha scritto sulla cartella clinica di Fiorini che prescriveva una trasfusione. Da quando le infermiere possono fare prescrizioni? E infatti Panella ha dovuto, qualche momento dopo, correggere la cartella, scrivendo della prescrizione “erroneamente inserita dall’infermiera”».

Sangermano prosegue quindi con la sua ricostruzione dei fatti. E aggiunge: «Inoltre, è stata fatta sparire la sacca di sangue iniettato per errore. Non si è più trovata perché il sangue rimanente, che nessuno saprà mai quanto era, fu inserito nella vena del legittimo destinatario». E accenna alla questione Tac: «prima del processo non c’erano Tac di Fiorini – spiega – durante il processo sono comparse. E se Fiorini stava davvero così male che sarebbe morto comunque, perché subito dopo l’accaduto ci si è affannati a cancellare le tracce dell’errore?»

Soddisfazione esprime invece per il lavoro dei magistrati, «accurato e meticoloso», dice. Ma annuncia comunque ricorso in appello.  E alla domanda di Donatorih24 sul perché sia stato lui, avvocato di Roma, scelto per difendere i familiari di Grosseto, risponde senza timore: «mi hanno raccontato di un clima così teso che hanno voluto, per sentirsi davvero tutelati, scegliere una persona al di fuori di quell’ambiente».

NOVANTA GIORNI PER LE MOTIVAZIONI DEL GIUDICE

Il giudice Andrea Stramenga ha 90 giorni di tempo per depositare le motivazioni della sentenza. Da quella si potrà capire perché il medico e l’infermiera siano stati condannati a quattro mesi di reclusione con pena sospesa e 4mila euro ciascuno come provvisionale (la provvisionale nel processo penale è una somma di denaro liquidata dal giudice alla parte danneggiata, come anticipo sull’importo che le spetterà in via definitiva), rimettendo davanti al giudice civile la richiesta di risarcimento danni presentata dalla famiglia.

DOPO L’ERRORE, OGGI NUOVE PROCEDURE SANITARIE

«L’evento in questione – spiega a Donatorih24 la dirigente del Centro Gestione Rischio Clinico e Sicurezza del Paziente della Regione Toscana, Sara Albolino – fu subito segnalato al ministero della Salute come “evento sentinella”», evento che se studiato come errore di sistema, può portare dei miglioramenti nella struttura.

«Nello specifico – spiega Albolino- si è trattato di un evento dovuto al fattore umano collegato all’interruzione di una procedura (la trasfusione del paziente del letto accanto è stata in qualche modo “bloccata” dall’arresto cardiaco di Fiorini, ndr). Per questo, già da pochi mesi successivi all’agosto del 2013, il personale sanitario dell’ospedale Misericordia ha seguito dei corsi di aggiornamento professionale su nuove procedure volte ad evitare il ripetersi dell’errore».

Un errore, dice Albolino, che ha portato dei miglioramenti: «Sono state così introdotte, ad esempio, misure di doppio controllo per le quali oggi la trasfusione deve essere fatta da due operatori. Inoltre, sono stati introdotti alcuni elementi distintivi che gli operatori al lavoro in quel dato momento su una procedura delicata devono indossare per segnalare di non dover essere disturbati».  Quindi, conclude Albolino, «come indicano linee guida nazionali e internazionali, oggi all’ospedale Misericordia chi sta effettuando una trasfusione indossa un braccialetto rosso, e non deve essere interrotto nel suo lavoro».

In sostanza, se quel braccialetto rosso  l’avessero indossato anche gli operatori che stavano effettuando la trasfusione al paziente vicino di Fiorini, forse l’errore non ci sarebbe stato.