«Trasfusionali ricevano esigenze donatori»

2018-06-14T11:01:23+02:00 14 Giugno 2018|Attualità|

«Faremo un’analisi attenta dei dati nazionali forniti dal Centro nazionale sangue per verificare l’andamento della situazione della medicina trasfusionale italiana in modo da garantire la l’erogazione continua dei livelli di assistenza a tutti i cittadini».

Aldo Ozino Caligaris commenta così a caldo con DonatoriH24 i dati forniti durante la conferenza stampa organizzata oggi. Ozino Caligaris è il  presidente nazionale Fidas (Federazione italiana associazioni donatori di sangue) e Coordinatore pro tempore di Civis (Coordinamento interassociativo volontariato italiano sangue).

Si registra un calo delle donazioni, cosa crede si debba fare?

E’ dal 2011-2012 che Fidas, attraverso uno studio condiviso con il Censis, ha verificato l’andamento demografico della popolazione italiana, collegandolo all’andamento delle donazioni. Lo studio ci forniva già dati preoccupanti per il 2020-2030: se non avessimo messo in atto politiche adatte a contrastare il calo demografico della popolazione italiana ci saremmo trovati davvero in difficoltà. Da un lato, infatti, nascono meno bambini, e c’è quindi un assottigliamento della fascia di età tra i 18 e i 28 anni; dall’altro aumenta la fascia di età oltre i 65 anni, che già oggi rappresenta i 2/3 dei riceventi delle trasfusioni nel nostro Paese.

L’uso maggiormente appropriato della terapia trasfusionale come entra in questo quadro?

Siamo di fronte a un leggero calo della richiesta di trasfusioni, ma anche di fronte a un leggero calo delle donazioni, e in particolare dei donatori nelle fasce più giovani. Bisogna quindi implementare le iniziative strategiche che coinvolgono i giovani e li convincano dell’importanza dei principi di solidarietà.

Cosa fa Fidas in questo senso?

Stiamo lavorando alla formazione, vogliamo  implementare il già esistente protocollo d’intesa con il Miur in tal senso. Ma non è sufficiente limitarsi a considerazioni o a dichiarazioni di presa d’atto, bisogna tradurle in azioni concrete. Formazione, informazione e fidelizzazione sono fondamentali. Dobbiamo capire che almeno per altri 30 anni non potremo fare a meno del sangue e dei suoi componenti, quindi abbiamo bisogno della donazione come atto volontario, gratuito, anonimo e civile.

Oggi abbiamo oltre 8000 trasfusioni al giorno a fronte di 1800 pazienti che in Italia chiedono ogni giorno sangue. Ci sono malati cronici che hanno sempre bisogno di sangue. Bisogna rimboccarsi le maniche e mettere in atto iniziative che anche a livello periferico coinvolgano i giovani lì dove sono presenti e dove si informano. Bisogna sostenere iniziative a favore di corretti stili di vita e dare le giuste informazioni.

Per esempio le informazioni relative ai tatuaggi…

Non esiste alcuna preclusione alla donazione di sangue per chi ha un tatuaggio. Come tutti i comportamenti a rischio non c’è infatti un’esclusione permanente ma c’è una finestra di sospensione di quattro mesi dal momento in cui si è fatto il tatuaggio.

Perché i giovani donano di meno?

Non c’è una comunicazione costante, c’è l’idea che ci sono i donatori a pensarci, che insomma, c’è sempre qualcun altro che bene o male ci pensa. Eppure il sangue è un presidio sanitario insostituibile che in più ha una scadenza: circa 45 giorni. Il sangue non può essere conservato di più. In questo i media hanno un ruolo fondamentale e di supporto per diffondere la cultura della donazione e nel combattere le cosiddette fake news. Noi di Fidas, in più occasioni abbiamo avuto la prova che se i giovani sono sollecitati, sensibilizzati e informati, essi donano. In più tra questa fascia d’età praticamente viene eliminata la differenziazione dovuta al sesso: se infatti nella popolazione nazionale in generale una donna su due uomini dona sangue, tra i giovani questo dato diventa 1 su 1.

E per quanto riguarda il plasma?

Abbiamo due elementi di cui tenere conto: da un lato l’utilizzo di meno plasma da frazionamento, dall’altro l’obiettivo di compensare le carenze per arrivare all’autosufficienza. Non siamo di fronte a un andamento che ci fa immaginare di arrivare a tale obiettivo. Ne stiamo discutendo molto, stiamo cercando di capire come agire per aumentare le donazioni di plasma, donazioni che richiedono più tempo ma che in termini fisiologici sono meno impegnative.

Quali problemi riscontrate?

Ci sono sicuramente dei problemi di ordine organizzativo: c’è bisogno di una maggiore flessibilità. Ci deve essere uno sforzo organizzativo delle istituzioni regionali al fine di reperire le risorse necessarie ad ampliare gli orari e i giorni di apertura delle strutture trasfusionali, in modo da favorire l’accesso dei donatori di plasma e sangue. Sono stati messi in campo degli elementi che facilitano tale accesso, come ad esempio i permessi lavorativi, ma sappiamo che meno del 20%o dei donatori usufruisce di tale strumento. Il mutamento del mercato del lavoro con la creazione di contratti  che spesso difficilmente permettono di assentarsi dal posto di lavoro crea la necessità di tenere le strutture in cui si può donare aperte il pomeriggio, oppure nei week end.

Siamo alle porte dell’estate, quando normalmente si registra un calo delle donazioni, cosa si sente di dire?

Bisogna che le singole Regioni si organizzino per poter far lavorare i centri trasfusionali  con gli stessi ritmi in cui lavorano durante il resto dell’anno. Non è più accettabile che i servizi trasfusionali chiudano per ferie, o che le associazioni sospendano le chiamate dei donatori. Non me la sento di difendere un sistema che non si riesce ad organizzare in tempo. Bisogna essere operativi sempre, 365 giorni l’anno. E’importante condividere la programmazione in modo da poter assicurare sempre uguali livelli di raccolta sangue.  E tutti gli attori devono lavorare assieme per questo: volontariato del dono, professionisti, Regioni, Centro nazionale sangue.

T.B.