«In Italia siamo al di sotto della soglia delle due donazioni l’anno con una media di 1,7. Eppure gli uomini possono donare fino a quattro volte l’anno». Il presidente Avis Nazionale Alberto Argentoni parla con DonatoriH24 e sottolinea l’impellente necessità di una fidelizzazione dei donatori assieme ad un ricambio generazionale, ad una comunicazione efficace che sia attenta al one to one in modo da combattere il sistema perverso delle fake news e permettere di approfondire la conoscenza di fattori essenziali per il mondo della donazione, come i rischi di malattie sessualmente trasmissibili. Tutti temi che saranno affrontati a Lucca il prossimo sabato al Festival del volontariato 2018, ma anche all’82^ Assemblea generale Avis prevista a Lecce dal 18 al 20 maggio. Appuntamenti di cui Argentoni ci parla in anteprima con importanti anticipazioni.
Il sangue sta invecchiando, qual è la situazione del ricambio generazionale per i donatori in Italia?
«La popolazione italiana sta invecchiando e con lei anche i donatori, abbiamo avuto un innalzamento dell’età media. Pur tenendo conto di questo fatto, possiamo dire che i giovani non sono venuti del tutto a mancare. Tuttavia accade che questi donatori di età più bassa, viaggino molto e alcuni di loro possono assumere comportamenti a rischio. Di conseguenza l’indice di donazione (numero di donazioni/anno, ndr) si abbassa. Nel complesso abbiamo donatori più anziani rispetto al passato, ma il nostro turnover è comunque soddisfacente».
Ci potrebbe fornire qualche numero?
«L’Avis registra il 10 per cento di nuovi donatori ogni anno: molti di questi sono giovani. Ovviamente sono di meno di quelli compresi in una fascia di età più avanzata. Abbiamo comunque un buon numero di donatori sotto i 30 anni. Gli uomini sono di più rispetto alle donne, ma anche le giovani donano molto».
Secondo una stima del Centro nazionale sangue i donatori complessivi potrebbero calare del 4,5 per cento entro il 2020 a causa del mancato ricambio generazionale. Quanto incide questo aspetto sull’autosufficienza ematica?
«Il dato più importante in tal senso è l’indice di donazione. Ciò che conta davvero sono frequenza e fidelizzazione del donatore. In Italia siamo al di sotto della soglia delle due donazioni l’anno. Ci attestiamo su una media di 1,7. Se si considera che gli uomini possono donare fino a quattro volte l’anno, abbiamo delle risorse che potremmo utilizzare meglio. Lo scarso ricambio generazionale è un fattore importante, ma conta di più fidelizzare il donatore: ci sono i margini per far sì che la frequenza aumenti. Per far ciò serve migliorare l’accoglienza nei centri trasfusionali, continuare ad ampliare gli orari di accoglienza puntando sulle raccolte domenicali».
Recentemente l’Avis ha indicato la necessità di puntare sulla comunicazione: cosa intendente fare?
«Stiamo facendo molto in tal senso. Puntiamo a una comunicazione di rete: una strategia comune e di cooperazione integrata e coordinata a livello nazionale tra le numerose sedi sparse per l’Italia. Sarebbe auspicabile, tuttavia, ottenere uno spazio maggiore sui media come televisioni e radio. Puntiamo molto anche sul web e sui social per attrarre nuovi donatori, specie tra i giovani».
Qual è il ruolo di associazioni come quella che dirige?
«Le associazioni restano la prima fonte di reclutamento dei donatori. È un lavoro difficile. Le faccio l’esempio della donazione differita: molti si avvicinano a noi e ottengono l’idoneità dopo il prelievo, ma non tutti l’effettuano. Tuttavia, tutti quelli che terminano il percorso vengono fidelizzati e diventano donatori abituali».
I giovani donano poco: alcuni hanno paura dell’ago, altri credono che piercing e tatuaggi li escludano permanentemente dalla donazione. Cosa si può fare per spronarli a donare?
«È importante insistere sulla corretta informazione. Le esclusioni permanenti dalla donazione, ad esempio per chi è affetto da gravi patologie, sono poche e sempre a tutela del donatore. Serve ricordare a tutti che tatuaggi, piercing e comportamenti a rischio sono causa di esclusione soltanto temporanea. Inoltre studi ancora attuali ci dicono che il donatore periodico nasce soprattutto dal rapporto interpersonale. Per personale intendo l’eventualità di avere un parente o un amico già donatore, l’ascolto di una storia toccante. Per questo motivo oltre a comunicare attraverso le nuove tecnologie dobbiamo continuare a curare molto le relazioni one to one con il donatore. È importante scambiare due parole e creare un rapporto di vicinanza durante l’accoglienza. Così come sono importanti gli eventi che organizziamo in giro per il Paese quali gli spettacoli comici, i giochi, gli incontri pubblici».
Che ruolo hanno in tale contesto volti noti dello sport e della musica come testimonial delle campagne di informazione?
«Sono fondamentali per attrarre il donatore. Dopo però è necessario instaurare un rapporto di fiducia affinché, come detto, il donatore diventi abituale».
Dal progetto Blood confusion del Centro nazionale sangue è emerso che i giovani non si fidano della raccolta-distribuzione del sangue. Come spiegare loro che donare è sicuro e salva vite?
«Per quanto riguarda la salute dei donatori, i documenti informativi che le associazioni distribuiscono sono esaustivi. Inoltre il colloquio con il medico in sede di valutazione di idoneità del donatore contribuisce a rassicurare. Per il resto entriamo nell’ambito delle fake news, che sono come i temporali: spaventano, ma poi per fortuna passano. Ciò nonostante resta difficile fare chiarezza in mezzo alla confusione che creano. Pensi alle notizie su maxi-risarcimenti riferiti a sangue infetto ed epatiti contratte 30 anni fa, oppure ai casi di patologie trasmesse in Paesi non particolarmente sviluppati nell’ambito del sistema sangue. Ci tengo a dire che donare in Italia è sicuro».
Ci può dire in anteprima cosa è emerso dalla ricerca sulle malattie sessualmente trasmissibili che presenterete il prossimo sabato al Festival del volontariato di Lucca?
«La ricerca si intitola “Testa e cuore” e l’abbiamo realizzata assieme al Centro Operativo Aids. Abbiamo cercato di capire cosa i giovani sanno sui comportamenti a rischio comparando le informazioni in possesso di chi è donatore con chi non lo è. In estrema sintesi, è emerso che i donatori sono più consapevoli delle conseguenze dei comportamenti a rischio rispetto ai non donatori. Si tratta di un tema delicato e di scottante attualità su cui c’è molto da fare ancora. Anche da qui si evince l’importanza di un’informazione corretta, visto che i rischi legati alle malattie sessualmente trasmissibili restano alti».
Dal 18 al 20 maggio Lecce ospiterà l’assemblea generale Avis: un evento significativo, quali saranno le tematiche centrali del dibattito?
«Per quanto riguarda gli aspetti del sistema, vorremmo far emergere la necessità di indirizzare il sistema trasfusionale verso l’autosufficienza anche per quanto riguarda i plasmaderivati (risultato già raggiunto per il sangue intero, ndr). Per arrivare a questo però, serve uno sviluppo coordinato di tutto il sistema nazionale. Senza tale coordinamento sarà difficile raggiungere l’autosufficienza e rischiamo di perdere i risultati già raggiunti negli aspetti quantitativi (la raccolta del sangue, ndr). Servono maggiori risorse umane e tecnico-organizzative nel sistema pubblico».
Ci può dare anticipazioni sui temi che verranno trattati e che riguardano direttamente l’organizzazione interna Avis?
«Per quanto concerne l’aspetto associativo, invece, sarà importante armonizzare una grande organizzazione come la nostra al nuovo codice del Terzo settore. Dobbiamo essere in grado di rafforzare il sistema trasfusionale ed essere capaci di rispondere alle necessità dei donatori e dei malati. Tutto ciò puntando sempre sui nostri elementi di forza fondamentali: chiamata, accoglienza, assistenza e fidelizzazione».
Il tema dei permessi lavorativi e delle agevolazioni per i donatori è al centro dell’attenzione del sistema sangue, quali sono le difficoltà da affrontare?
«Come spesso dicono i dirigenti dell’Avis, è il servizio che deve modellarsi attorno al donatore e non il contrario. La crisi che sta attraversando il mondo del lavoro rende tutto più difficile: c’è sempre meno flessibilità e dunque siamo noi a dover andare incontro alle esigenze del donatore. Come accennato prima, dobbiamo aprire i centri trasfusionali anche la domenica e costruire calendari per la raccolta sangue flessibili».
Cosa chiede l’Avis alle istituzioni in modo da poter sostenere i donatori?
«Vogliamo semplicemente che il sistema trasfusionale venga considerato ciò che realmente è, un sistema nazionale. Faccio un esempio: se manca il sangue in una città, si deve essere in grado di farlo arrivare facilmente da dove vi è eccedenza. Il sistema di compensazione tra Regioni funziona, ma servono sistemi omogenei, che rendano più facile e veloce risolvere un’emergenza. Solo quando donare in una Regione sarà uguale a donare in un’altra si potrà raggiungere la completa autosufficienza».